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Il Fausto Leali in me

Settantacinquenni devastati dalla tragedia del politicamente corretto

Michele Masneri

Li conosco bene, quelli come lui. Non sono razzisti, sono solo rincoglioniti, "di quella generazione lì"

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Giù le mani da Fausto Leali. Fausto Leali è bresciano come me, lo conosco, l’ho intravisto, rappresenta un tipo di uomini solidi e gutturali di cui sono stato circondato nella mia infanzia: vederlo soccombere, stravolto, espulso dal GF Vip, a settantacinque anni, non è bello. Fausto Leali prima ha detto una cosa sul Duce (non il classico “il Duce ha fatto anche cose buone”, bensì la variante “ha fatto delle cose per l’umanità, le pensioni, ma poi è andato con Hitler”). Poi Fausto Leali ha detto soprattutto la “n word”, o “la parola con la N” a Enock Barwuah, calciatore in proprio e fratello del più celebre Mario Balotelli (bresciano anche lui d’adozione). Barwuah molto urbanamente ha fatto notare a Fausto leali che  ecco, non andrebbe detta quella parola. Fausto Leali, settantacinquenne, ha insistito, stravolto: “e allora, la mia canzone Angeli negri?”. La contessa de Blanck, che è una Fausta Leali però donna, e ha viaggiato, ha capito tutto e gli ha detto: e mò sono cazzi tuoi. “Non è che sono razzista”, ha detto Fausto Leali al Corriere, crollando: “è che sono timido”.

 

È la prova che è in buona fede. Li conosco, i Fausti Leali. Ci sono cresciuto insieme, appunto. Non sono razzisti: sono rincoglioniti. Sono “di quella generazione lì”, come di solito si giustificano parenti (generalmente maschi) che non sanno fare cose basiche, mandare un biglietto d’auguri, dirti “ti voglio bene”, abbracciare, mandare un’email: “sai, è di un’altra generazione”, si dice in loro soccorso (generalmente lo dice una donna, la stessa donna che dice appunto “sai, è timido”; e si incarica di queste funzioni). I Fausti Leali generalmente non sanno: usare whatsapp, guidare col cambio automatico, scrivere elettronicamente. I Fausti leali invece amano: parlare in vivavoce anche sul treno, mettere quattro o cinque puntini al posto dei tre di sospensione, scrivere email tutte maiuscole. Un Fausto Leali che conosco, se gli fai notare che i puntini sono tre e non un numero a caso, e che non si può scrivere maiuscolo, si incazza.

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Un altro Fausto Leali che conosco è da sempre appassionato di auto, e ora ha una macchina super tecnologica. La macchina è da sempre un tema molto importante per i Fausti Leali. Questo Fausto Leali dice furibondo che “si guida da sola”, e in un mondo che agogna l’auto senza conducente parrebbe una cosa auspicabile, invece lui questa macchina che si guida da sola la odia. La odia ma rifiuta di impararne le istruzioni.

  

Questi Fausti Leali settantacinquenni io li capisco, e gli voglio bene: si son visti arrivare addosso un sacco di modernità proprio quando pensavano di non dover imparare più nulla: si sa che a settant’anni in Italia arriva la vita vera, sei finalmente adulto e con un reddito e senza genitori. Tutto in discesa, una specie di Fine della Storia, senza scomodare Fukushima: invece questi Fausti Leali si trovano improvvisamente di fronte una devastante quantità di nuove cose da studiare.  Nuovi pronomi e pulsanti e desinenze e istanze e razze e cambi automatici e transizioni. I Fausti Leali più diligenti si son rimessi a studiare, cercano di dire e fare le cose giuste, che sono cambiate, come il surimi e le spalline andavano molto 40 anni fa ma oggi meglio lasciar perdere (Joe Biden, per esempio, è un Fausto Leali che ce l’ha fatta: lui al contrario abbracciava troppo, e ha smesso).

  

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l Fausti Leali basici invece soffrono: solo una settimana fa erano andati nel pallone coi fatti di Caivano, col ragazzo trans che non si sapeva bene come nominare: lui, lei, esso? Relazione Lgbt? Rispolveriamo il duale? I Fausti Leali sono devastati dalla tragedia del politicamente corretto che aleggia: e i convegni #tuttimaschi, e le regole degli Oscar. E Concita De Gregorio che non si fa chiamare Concita. I Fausti Leali sono sinceramente convinti d’esser finiti in una dittatura del più pernicioso Politically Correct o Pc (che a loro evoca manifestazioni d’infanzia). I Fausti Leali  sono forse pronti ad armarsi. I Fausti Leali sono la versione anziana dell’omino di “The social dilemma”, il documentario Netflix in cui degli efferati siliconvallici titillano l’utente social bombardandolo di vaccate. Però i Fausti Leali, come l’omino in questione, non sono suprematisti bianchi. Sono tra noi. “Era il linguaggio di allora”, ha detto sconsolato Fausto Leali, quello vero. Aiutiamolo (e però il partito dei Fausti Leali, se si candidasse, altro che Ztl, farebbe il monocolore, vabbè).

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