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Rita Pavone non è Rula Jebreal e così è stata travolta da Sanremo

Serena Magro

La differenza tra chi ha lavorato con Santoro e chi no

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Rula Jebreal è Sanremo. E i tentativi di tenerla fuori dal festival sono qualcosa di ancora più sanremese, quindi, se poteste (ma non potete, perché la forza del festival vi sovrasta) voi alfieri della destra nazionalpopolare dovreste lasciar perdere questa battaglia impossibile e pensare ad altro. Non potete, appunto, perché la giornalista cittadina israeliana con famiglia originaria palestinese ed elettrice in Israele (un buon esempio contro l’astensionismo, non trascuratelo in vista del vicino voto emiliano-romagnolo e calabrese) è esattamente al posto suo sul palco dell’Ariston. Perché il festival non è lo specchio del paese, come scrivono gli autori di analisi che rispecchiano altre analisi. Il festival è lo specchio, o meglio la drammatizzazione, ma alla buona, in una veloce serie tv in 5 puntate all’anno, di come ci raccontiamo il paese. A volerla dire scema: narrazione dell’Italia, la serie. Gli autori del festival non hanno i mezzi del Censis o dell’Istat, non fanno ricerca sociale, prendono quello che passa il convento mediatico, ne scremano l’essenziale e ce lo restituiscono ben confezionato, perché sono bravi e la tecnica la conoscono e hanno la fortuna di poter contare sulla creatività di qualche decina di autori di canzoni. Mahmood e le reazioni a Mahmood sono stati il racconto, ovviamente in controluce, del nostro anno nazipop ristretto davvero all’osso, a dimostrare che quando si ritira la schiuma di un anno di insulti televisivi non resta nient’altro che la sanremizzazione del dibattito. Rula Jebreal era già questo prima della sua (ormai vicinissima) consacrazione all’Ariston. Lo era per una sua certa sinteticità a priori nel giudizio giornalistico e nella presenza polemica. Sembrava, appunto, rappresentare le cose in modo essenziale più per dirci lei da che parte stava, e quindi assumendo il dibattito come già acquisito, che per confrontarsi davvero con altri interlocutori o, che sarebbe meglio ancora, con la realtà dei fatti. Aveva capito, già in epoca santoriana, che nei talk ci sono le parti assegnate e si era presa la sua, con una buona capacità nell’andare, come si dice a Roma. a cercar rogna. Funzionando anche come controparte, secondo la regola della reciproca annichilazione verso lo zero di senso vigente nei talk. Perfetta quindi per consentire al giornalista di destra di turno, poi liberale per Salvini, di costruirsi una carriera di duro o almeno di polemista fuori dal coro insultandola e attaccandola, perché comunque vada sarà un successo per gli attaccanti e per gli attaccati.

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Rula Jebreal è Sanremo. E i tentativi di tenerla fuori dal festival sono qualcosa di ancora più sanremese, quindi, se poteste (ma non potete, perché la forza del festival vi sovrasta) voi alfieri della destra nazionalpopolare dovreste lasciar perdere questa battaglia impossibile e pensare ad altro. Non potete, appunto, perché la giornalista cittadina israeliana con famiglia originaria palestinese ed elettrice in Israele (un buon esempio contro l’astensionismo, non trascuratelo in vista del vicino voto emiliano-romagnolo e calabrese) è esattamente al posto suo sul palco dell’Ariston. Perché il festival non è lo specchio del paese, come scrivono gli autori di analisi che rispecchiano altre analisi. Il festival è lo specchio, o meglio la drammatizzazione, ma alla buona, in una veloce serie tv in 5 puntate all’anno, di come ci raccontiamo il paese. A volerla dire scema: narrazione dell’Italia, la serie. Gli autori del festival non hanno i mezzi del Censis o dell’Istat, non fanno ricerca sociale, prendono quello che passa il convento mediatico, ne scremano l’essenziale e ce lo restituiscono ben confezionato, perché sono bravi e la tecnica la conoscono e hanno la fortuna di poter contare sulla creatività di qualche decina di autori di canzoni. Mahmood e le reazioni a Mahmood sono stati il racconto, ovviamente in controluce, del nostro anno nazipop ristretto davvero all’osso, a dimostrare che quando si ritira la schiuma di un anno di insulti televisivi non resta nient’altro che la sanremizzazione del dibattito. Rula Jebreal era già questo prima della sua (ormai vicinissima) consacrazione all’Ariston. Lo era per una sua certa sinteticità a priori nel giudizio giornalistico e nella presenza polemica. Sembrava, appunto, rappresentare le cose in modo essenziale più per dirci lei da che parte stava, e quindi assumendo il dibattito come già acquisito, che per confrontarsi davvero con altri interlocutori o, che sarebbe meglio ancora, con la realtà dei fatti. Aveva capito, già in epoca santoriana, che nei talk ci sono le parti assegnate e si era presa la sua, con una buona capacità nell’andare, come si dice a Roma. a cercar rogna. Funzionando anche come controparte, secondo la regola della reciproca annichilazione verso lo zero di senso vigente nei talk. Perfetta quindi per consentire al giornalista di destra di turno, poi liberale per Salvini, di costruirsi una carriera di duro o almeno di polemista fuori dal coro insultandola e attaccandola, perché comunque vada sarà un successo per gli attaccanti e per gli attaccati.

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La nemesi ora le contrappone Rita Pavone. La cantante è stata catturata in uno slancio volontaristico verso la polemica nazional-popolare dopo una storia però paradossalmente molto meno sanremese, cioè meno furba. Si è battuta nell’agone vero dello spettacolo con un’energia eccezionale e con grandi doti. Ha avuto una vita davvero coraggiosa (chiedete al bravissimo avvocato scrittore napoletano Anton Emilio Krogh, che ne ha fatto la musa di un suo bel romanzo) e poi però ultimamente è incappata in qualche scivolone twitteriano su temi che in poche battute sarebbero scivolosi per tutti, a meno di dire solo controllatissime ma paurose banalità. Pavone si trova lì un po’ travolta, non sa fare questo gioco, non ha mai lavorato con Santoro, sbaglia mosse, espone il suo invecchiamento. Le consigliamo (Avvocato Krogh le faccia una telefonata) di sottrarsi alla strumentalizzazione salvinista. Sul palco o dove può, purché ci sia una telecamera, lei, artista talentuosa, abbracci con sincero affetto la giornalista di minore talento. E Amadeus sancisca il tutto con uno sguardo alla Giuseppe Conte. Soprattutto Pavone si astenga dalle intemerate online. Il web intanto marcia da solo, crea e distrugge e non bisogna curarsene. E’ vero, Jebreal ha avuto attacchi pesanti e va difesa, ma a questo ci ha già pensato, tra gli altri, Gad Lerner. Poi però, quando le difese hanno sovrastato gli attacchi, la voce del popolo, e non del populismo, rispetto all’ennesimo solidaristico ma un po’ sospetto #IoStoConRula ha risposto con un definitivo #TePiacerebbe e l’ha chiusa lì.

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