Marcello Foza (foto LaPresse)

Marcello ci è o ci Foa?

Salvatore Merlo

Il presidente della Rai casca in pieno in una tentata truffa alla tv di stato. Sospeso tra Totò e Alì Babà

Uno spende tutta la vita ad ammonire il prossimo, “non fidatevi mai di quello che leggete”, promuove e scrive libri che passano al luminol ogni fatto solo apparentemente chiaro della storia mondiale, partendo, diciamo, dall’autocomplotto americano a Pearl Harbor per arrivare alle trame oscure dell’11 settembre, vede dovunque intrighi che nemmeno esistono, spiega a tutti come ci si difende dalle grandi menzogne universali, ma quando poi gli arriva una mail palesemente truffaldina si scapicolla trafelato dall’amministratore delegato della Rai: “Dobbiamo dare subito un milione e mezzo di euro a una società cinese che sta organizzando un festival internazionale… me lo ha chiesto per mail il ministro Tria”. C’è stato un tempo in cui cose simili ispiravano i nostri registi e scrittori di commedia, perché davvero Marcello Foa, presidente della Rai, il bizzarro cospirazionista elevato da Matteo Salvini ai vertici della tv di stato, adesso sembra quel signor Rossi che va a incontrare Totò travestito da ambasciatore del Catonga. “Tuo parente migrato molto tempo fa morto in Catonga e lasciato te erede universale”. E Rossi (Foa): “Ma davvero? Non sapevo di avere parenti. Sono trovatello io”. E Totò: “Appunto, voi siete due parenti trovatelli che vi siete trovati assieme. Tu adesso pagare 50 mila a noi e poi erediti un miliardo”.

 

L’effetto è crudele, commovente e irresistibilmente comico, se non fosse che ormai c’è di mezzo la procura di Roma, che ci vuole vedere chiaro. La cronologia dei fatti è imbarazzante. Il 29 aprile, il presidente della Rai riceve una mail da parte di un sedicente Giovanni Tria, ministro degli Affari economici, che gli chiede di far versare su un conto corrente 1,5 milioni di euro dell’azienda televisiva di stato. Foa non fa una piega, nessuna verifica, anzi risponde al finto Tria, e parla pure al telefono – lungamente e più di una volta – con un sedicente avvocato di Ginevra che deve fare da mediatore tra la Rai e questa presunta società cinese che organizza un fantomatico festival. A quel punto Foa informa l’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, caldeggiando la necessità di versare rapidamente la somma. Salini però si dimostra scettico e s’infastidisce per l’insistenza di Foa, che intanto parte con la famiglia per il ponte del primo maggio. Quando ritorna in azienda, il 6 maggio, Foa trova Salini con i capelli ritti (si fa per dire perché Salini è calvo), che gli comunica le seguenti ovvietà: non c’è alcun festival, Tria non ne sa nulla, si tratta di una truffa “e ho anche presentato una denuncia alla procura della Repubblica”. I due praticamente litigano. Ecco allora la domanda che si fanno tutti, Salini compreso, e adesso persino i leghisti cui Foa appartiene: è mai possibile che un uomo di cinquantacinque anni, presidente della Rai, ex direttore del Corriere del Ticino, per quanto possa essere strambo e coltivare idee bizzarre (compresa quella di essere “allievo di Montanelli”), sia cascato in una truffa, come un cetriolo preso al lazo? E insomma: Marcello ci è, o ci Foa?

 

Giovedì sera, davanti ai commissari della Vigilanza Rai, Foa ha letto una memoria abbastanza vaga, e poi ha risposto a qualche domanda. Il suo pomo d’Adamo, racconta chi c’era, “sembrava l’ascensore di Zara nelle ore di punta”. Commissario: “Ma lei verificò in qualche modo l’origine della mail del presunto Tria?”. E lui: “Ehhhhhh, diciamo cheeeee, non mi sembravaaaa…”. Commissario: “E quel milione e mezzo di euro esattamente a che doveva servire”? E lui, con il volto pallido di uno che ammetterebbe con difficoltà anche solo di aver mai respirato: “Si trattavaaaaa di un contrattooooo cheeee… doveva essere gestitoooo diciamo riservatamenteeeee dal ministero dell’Economia”. Incespicante, goffo, evasivo. Alla fine della seduta persino i parlamentari leghisti sono rimasti in silenzio. Allibiti. Finché una battuta non ha travolto il sospensivo imbarazzo, provocando una risata bipartisan, della maggioranza e dell’opposizione: “La prossima volta gli scriverà Papa Francesco chiedendo di comprare San Pietro”. Ed è a Totò che si ritorna. Ma lì eravamo nella gioiosa commedia, qui non si sa bene cosa sia.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.