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Quattro mogli per Costantino posson bastare

Simonetta Sciandivasci

Al via la nuova trasmissione di Della Gherardesca nei panni del playboy. Ogni puntata un “matrimonio” con Elisabetta Canalis, Paola Ferrari, Valeria Marini, Eleonora Giorgi: “Non mi interessa usare la televisione per denunciare o cavalcare onde emotive”

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Non una moglie, ma quattro. Non tutte insieme, ma una alla volta, una per paese (di questi paesi: Ghana, Uganda, Georgia, Giamaica, tanto per semplificare le cose). E il solo spoiler che possiamo darvi è che nessuno uccide e nessuno divorzia. Da stasera, per quattro giovedì, su Raidue, Costantino Della Gherardesca sarà il marito di Elisabetta Canalis, Paola Ferrari, Valeria Marini, Eleonora Giorgi. Un matrimonio per puntata, fritto&mangiato e pure, in chiusura di puntata, confermato con tanto di voti: questa è la nota di fiction (e/o un auspicio per il futuro: vuoi vedere che i soli matrimoni felici son quelli tra un'eterosessuale e un omosessuale, come si diceva fosse quello di Irene Brin e Gaspero Del Corso, che infatti si amarono tantissimo).

 

“È un programma di intrattenimento e di informazione – leggero, mica Al Jazeera - che racconta una parte di mondo inedito in televisione e lo fa in un passaggio continuo dalla finzione alla realtà”, racconta al Foglio Costantino Della Gherardesca. Niente gare, né viaggi, né stress test, né prove da superare: “Con ciascuna delle mie signore abbiamo condotto la vita di famiglie di diverse estrazioni: ci siamo calati nella realtà del posto che ci ospitava e abbiamo provato a raccontarla. I programmi di informazione, in Italia, vivono in una interessante autarchia: non si occupano che di piccole beghe provinciali o, comunque, hanno uno sguardo piuttosto corto sul resto del mondo. Questo è un programma che intrattiene, sì, ma mostra pure cosa succede altrove, quanto complessa e inimmaginabile è la vita degli oppositori politici in Uganda; quanto lunga sia la strada per i diritti civili fuori dall'Occidente; quanto straordinarie siano le vite e le culture di paesi che ci siamo abituati a considerare spacciati”.

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Per esempio? “L'Africa”. Dove sarai il marito di? “Valeria Marini”. Binomio notevole. "Non potevo portare con me una terzomondista: non sarebbe stato spiritoso. Ho scelto donne sfrenatamente capitaliste, che fossero a disagio in certe situazioni, che neanche potessero immaginarle. Per loro, il test è stato l'impatto con realtà di grande sofferenza, per me il test erano loro”. Torniamo all'Africa: “Gli studiosi progressisti americani parlano di afropessimismo: per anni ci siamo accontentati di immagini pietistiche, bambini con la malaria ricoperti di mosche, convincendoci che quei posti fossero solo quella cosa lì. In ciascun paese che ci ha ospitati, invece, anche nelle zone più povere, siamo stati accolti con allegria e altrettanto allegramente abbiamo lavorato. Non mi interessa usare la televisione per denunciare o cavalcare onde emotive”.

 

Faticoso? “Tantissimo. Avevamo due telecamere e nessun supporto: quando giri Pechino Express in Cina e in Thailandia, ti appoggi a una grande organizzazione. In Ghana non c'è niente”. Pericoloso? “Mai più di Valeria Marini convinta di aver contratto la bilharziosi”. La che? “Parassiti che ti entrano nella pelle e vanno poi a depositarsi nel fegato, nei reni, nella spina dorsale. Possono essere letali. Vivono sulle sponde del lago Victoria, che noi abbiamo attraversato in barca. Valeria aveva le infradito, era convinta di averli presi, una tragedia”. Come l'hai calmata, con un bacio molesto? “Sono per la galanteria, sempre: ti tiene al riparo da capricci, bisticci e fondamentalismi da privilegiati occidentali. Mi sono affezionato a tutte le mie mogli, sono state sfiancanti ma bravissime. Dal canto mio, sono temprato: sono cresciuto in una famiglia matriarcale”.

 

Hai detto di essere un playboy. “Sì, mi diverte. Il playboy nel nostro mondo è diventato ridicolo. Ma sono esistiti i playboy omosessuali: il mio sogno è diventarlo. Non voglio nozze, figli e passeggini: voglio gioiellerie. Il modello cristiano reaganiano che molti gay hanno preso a seguire non mi interessa e nessuno, quando ero ragazzino, al Gay Pride avrebbe immaginato che saremmo finiti col combattere per vederci riconosciuto il diritto a metter su famigliole. Eravamo contro le famigliole”. Ti infastidisce? “Certo che no: niente mi infastidisce. Io sono un anti-proibizionista ed essendo una persona con una bassissima libido, per ora, non temo niente. Quando e se comincerà la gogna mediatica contro la droga, avrò qualche preoccupazione in più”. Chiudiamo con qualche aspettativa: “So che non è un programma semplice, ma non mi interessa raccattare punti Auditel offrendo uno spettacolo a cui il pubblico è già abituato. Abbiamo costruito puntate brevi: i programmi devono durare poco, non devono essere cabaret di quattro ore per catturare spettatori. È più importante e interessante fare un programma che diventi un brand, che sia sempre richiesto sul mercato. Spero vi divertiate”. Tu l’hai fatto? “Tantissimo”.

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