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Social senza musica

L'accordo saltato fra Meta e Siae è solo un epocale momento passeggero

Stefano Pistolini

Ora non si potranno più utilizzare su Instagram e Facebook i prodotti musicali tutelati dall'agenzia: è la rivincita del muto su una abitudine rivoluzionaria. Non sarà facile adattarsi, ma forse è un bene

È una notizia destinata a colpire l’evoluzione del nostro costume di comunicazione, per come si va configurando nel tentativo d’adattarsi al contemporaneo: la portavoce di Meta, l’azienda governata da Mark Zuckerberg, proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp, comunica il fallimento in Italia dell’accordo-quadro con la Siae, quello che permette agli utenti dei social di utilizzare tutti i prodotti musicali tutelati dall’agenzia per musicare i propri post, sia video sia fotografici. “La tutela dei diritti d’autore di compositori e artisti è per noi una priorità e per questo da oggi avvieremo la procedura per rimuovere i brani del repertorio Siae nella nostra libreria musicale. Crediamo sia un valore per l’intera industria musicale permettere alle persone di connettersi sulle nostre piattaforme utilizzando la musica che amano. Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo e continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti”. In sostanza il mancato rinnovo dell’accordo con Siae avrà impatto sui reels, sui feed e sulle stories di entrambe le piattaforme. Su Facebook, i relativi contenuti verranno bloccati. Su Instagram verranno silenziati, a meno che gli utenti non ne sostituiscano l’audio con una delle tracce disponibili nelle librerie musicali di Meta appositamente create (ad esempio Soundreef) e che non ricadono sotto la tutela Siae.

 

Alla base della rottura di sicuro una questione di soldi, dal momento che la società che difende gli interessi degli artisti ha ormai ben chiaro il peso e l’importanza commerciale delle musiche nell’oceano di comunicazioni via social, che va ben oltre la rappresentazione delle proprie emozioni e dei propri eventi familiari-sentimentali, sfociando ampiamente nel marketing e nella promozione d’ogni genere di prodotti. E che di conseguenza abbia chiesto un riconoscimento economico ben superiore a quello del passato. Probabile peraltro che il bracco di ferro Meta-Siae arrivi in un vicino futuro a felice soluzione, perché è evidente la reciproca convenienza di entrambi i litiganti in quello che è il più grande business planetario di comunicazione.

 

Altresì è interessante assistere allo scenario psicologico provocato da questa momentanea crisi. Perché è ormai chiaro come il concetto di accesso totale ai repertori sia divenuto un asset culturale del presente, in coincidenza col successo dei servizi streaming audiovisivi e la parallela proliferazione delle reti social. La proprietà dei prodotti e la relativa fruizione privata hanno ormai stabilmente lasciato il passo alla condivisione, gratuita o a costo moderato, perché altrove hanno traslocato le grandi economie sottese a questo enorme bacino di consumo. È stata una rivoluzione copernicana e lo sa chiunque sia cresciuto risparmiando per comprare un long playing o un dvd e abbia poi assistito all’avvento di Spotify e di Netflix. Proprio questa accresciuta licenza di prossimità col prodotto artistico è stata l’antefatto del nuovo genere di autorappresentazione, destinata a divenire mainstream, oltre che travolgente effetto socioculturale: raccontarsi, descriversi, storicizzare se stessi, gli amati spiriti, mogli e amanti, figli e nonni, luoghi aviti e meravigliose vacanze, la nuova moto, la sospirata cabriolet e la ricetta della carbonara con una foto, una raffica di selfie, un video celebrativo, offrendo al tutto un livello extra di emotività attraverso l’abbinamento con la musica giusta, la canzone della nostra vita, il tormentone del momento, la melodia senza tempo. Siamo tutti diventati i registi della nostra storia per immagini e abbiamo imparato in fretta, perché queste tecnologie oggi sanno guidarci in modo impareggiabile e mettere “La Leva Calcistica del ’68” sotto al video del gollasso del nostro nipotino è divenuto un gioco da ragazzi anche per dumb & dumber. Adesso – ma non preoccupatevi, presto sarà tutto dimenticato – ci dicono che il gioco è finito, che quello che sembrava assodato in eterno di colpo non si può più fare e che la nostra collezione di stories dei migliori viaggi della nostra vita rischia di sembrare un super8 anni Sessanta.

 

È la rivincita del Muto. Solo i più volenterosi opteranno per le musichette messe a disposizione dalle piattaforme e pochi avranno la pazienza di procedere alla sostituzione, mentre gli utenti di TikTok gongoleranno, come i parenti ricchi e fortunati. La maggioranza fisserà con occhio vitreo lo scorrere silenzioso delle immagini, private della magia che certi motivetti sapevano offrirle. Non è roba da poco: “Babylon” racconta lo spaesamento del mondo del cinema quando il sonoro cambiò le regole del gioco. E adesso che siamo tutti attori di noi stessi? Salterà fuori qualcuno a ricordarci che un tempo bastava spedire una cartolina, ci sarà chi sfiderà gli habitué dei social a trovare finalmente qualcosa di sensato da dire, per riempire il vuoto senza ricorrere a Lady Gaga. Sarà uno spaesamento (quasi) collettivo. Poi le cose si ricomporranno e torneremo a giocare con suoni e colori. Consideriamolo un passaggio purificante, che ci ricordi la caducità del tutto, digitale incluso, ci ammonisca sui poteri del Grande Fratello e ci faccia riconsiderare il dimenticato valore di una sana telefonata vecchio stile.

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