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Un'avanzata inarrestabile

La corsa all’oro digitale del Bitcoin riguarda anche la nostra libertà

Ferdinando M. Ametrano*

Lo sviluppo della criptovaluta sembra incontenibile e potrebbe produrre cambiamenti dirompenti nell’attuale civilizzazione digitale e nel mondo della finanza. Fino alla realizzazione dell'ideale di Hayek, con monete private che fanno concorrenza a quelle statali

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Secoli fa abbiamo  separato chiesa e stato; oggi si apre la possibilità di un passaggio politico e culturale altrettanto cruciale che porterà, se non alla separazione tra moneta e stato, almeno alla realizzazione dell’ideale di Hayek di monete private che fanno concorrenza a monete statali. La corsa di Bitcoin sembra incontenibile: non si tratta solo dell’ennesimo nuovo record di prezzo a quasi 65 mila dollari, ma anche della quotazione pubblica di Coinbase, la principale borsa di scambio Bitcoin, valutata tra i 60 e gli 85 miliardi di dollari. Wall Street ha definitivamente aperto le porte alla criptovaluta spesso presentata come antagonista del sistema finanziario tradizionale.

 

Queste notizie arrivano dopo mesi in cui le banche di investimento statunitensi hanno cambiato rotta, proponendo Bitcoin in affiancamento o sostituzione dell’oro fisico. Un oro digitale acquistabile semplicemente tramite PayPal o su Coinbase come ha fatto la Tesla di Elon Musk quando ne ha comprato per 1,5 miliardi di dollari; un oro digitale con contratti futures e opzioni scambiati alla Chicago Mercantile Exchange, la prima borsa statunitense per capitalizzazione a cui oggi proprio Coinbase contende il primato. E il mercato dà per scontato l’arrivo nel 2021 di un Etf Bitcoin quotato negli Stati Uniti.

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Bitcoin è un artefatto digitale trasferibile ma non duplicabile, cioè “spendibile” una sola volta (a favore di Tizio) ma non due volte (a favore anche di Caio). Per la prima volta in ambito digitale questa caratteristica è intrinseca a un protocollo informatico e non è garantita da un’autorità o emittente, come capita invece con un titolo azionario o il saldo di un conto corrente. Questa scarsità consente al bene digitale di acquisire valore economico nella maniera in cui agenti di mercato glielo riconoscono. E il mercato glielo riconosce proprio per la capacità di trasferire valore economico in maniera sicura, veloce e con costi trascurabili: è impietoso il confronto con le lentezze e i limiti dei bonifici tradizionali, con la macchinosità delle transazioni transcontinentali tra diverse valute, con i rischi legati agli usi fraudolenti delle carte di credito.

 

C’è l’aspettativa legittima che la digitalizzazione migliori il nostro sistema bancario e finanziario. Eppure, oggi se vogliamo trasferire i pochi byte che rappresentano parte della nostra ricchezza, ad esempio con un bonifico, possiamo tipicamente farlo solo dal lunedì al venerdì, tra le 9 e le 17, con operazioni che ci mettono due giorni (o più) a essere finalizzate, solo a favore di chi è identificato e bancarizzato, pagando una commissione a un intermediario. È’ evidente che questa situazione è paradossale; la domanda non è se, ma chi e quando regalerà all’umanità una rete globale peer-to-peer di pagamenti istantanei e gratuiti.

 

Il premio Nobel Milton Friedman aveva già osservato in un’intervista del 1999 che “ciò che manca, ma che sarà sviluppato a breve, è un contante elettronico affidabile, un metodo per trasferire fondi su Internet da A a B, senza che A conosca B o B conosca A, allo stesso modo in cui io posso prendere una banconota da 20 dollari e darla [a uno sconosciuto, nda]”. Bitcoin sembra aver realizzato questa profezia e per questo il suo valore è cresciuto migliaia di volte negli ultimi anni.

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Le paure delle commerciali

 

Anche per questo aumenta la pressione sulle banche centrali perché offrano una qualche forma di contante digitale, che possa rappresentare un efficiente strumento di pagamento, finalmente al passo con i tempi. Progetti, anche italiani, di contante digitale sono stati in passato fermati; pur riconoscendone i vantaggi per risparmiatori e consumatori, i banchieri centrali temevano e temono che un accesso indiscriminato al contante digitale porti i risparmi verso la banca centrale a discapito del sistema bancario commerciale e dei suoi meccanismi di raccolta, con effetti disastrosi sui processi di trasmissione della politica monetaria.

 

Per questo Fabio Panetta, rappresentante della Banca d’Italia nel direttorio della Banca centrale europea, ha recentemente chiarito che un euro digitale avrebbe un limite massimo per persona fissato a 3 mila euro, oltre il quale verrebbero applicati tassi di interesse negativi. Le banche commerciali tirano un respiro di sollievo, ma questa impostazione ucciderebbe le carte di credito e di debito: sembra impossibile che l’innovazione del contante digitale non pretenda una qualche vittima sacrificale. Anche per questo, Christine Lagarde ha chiarito che il progetto non è ancora approvato e comunque ha un orizzonte di almeno quattro anni. Un tempo geologico rispetto alla velocità di innovazione in ambito digitale, un ritardo che evidenzia l’affanno delle banche centrali.

 

Guerra di valute e banche centrali

Oltre a Bitcoin preme sulle banche centrali anche Facebook e il suo progetto di moneta privata noto come Libra, recentemente rinominata Diem. Facebook è stato fermato da un’alzata di scudi su entrambe le sponde dell’Atlantico: gli Stati Uniti sono preoccupati di qualsiasi cosa faccia concorrenza al dollaro come moneta di riferimento internazionale (ruolo su cui si regge, ricordiamolo, la sostenibilità del debito pubblico e privato statunitense), l’Europa considera la sovranità monetaria un dogma indiscutibile. Questi episodi confermano in ambito monetario un’evidenza più generale: la nostra epoca ha codificato lo stato, liberale o marxista che sia, come sorgente di ogni diritto; con tristezza il premio Nobel per la Poesia, Czeslaw Milosz, denunciava: “Si è riusciti a far capire all’uomo che se vive è per grazia dei potenti. Pensi dunque a bere il caffè e a dare caccia alle farfalle. Chi ama la res publica avrà la mano mozzata”.

 

Friedrich Hayek, premio Nobel per l’Economia, potrebbe parafrasare dicendo che si è riusciti a far capire all’uomo che l’economia è grazia dei potenti e chi ama la buona moneta finirà in carcere. Basterebbe, infatti, leggere il suo “La denazionalizzazione della moneta”, per comprendere l’irragionevolezza e infondatezza di questi atteggiamenti. Secoli fa abbiamo prima abbandonato il “cuius regio eius religio”, poi separato la chiesa dallo stato; oggi si apre la possibilità tecnica di un passaggio politico e culturale altrettanto drammatico e cruciale che porterà, se non alla separazione tra moneta e stato, almeno alla realizzazione dell’ideale di Hayek di monete private che fanno concorrenza a monete statali.

 

C’è, infine, il tentativo cinese di rafforzare lo yuan come moneta di riferimento internazionale rendendolo disponibile come contante digitale. Si è arrivati a temere che la Cina potesse strizzare l’occhio alla criminalità internazionale, rendendo l’anonimato delle transazioni il vantaggio competitivo rispetto al dollaro statunitense. Nonostante le smentite della Banca centrale cinese, gli Stati Uniti restano preoccupati. L’Europa, dal Dopoguerra compiacente di fronte al ruolo del dollaro come bene rifugio per eccellenza, teme di vedere l’euro stritolato dalla competizione tra dollaro e yuan.

 

Accerchiate da Bitcoin come oro digitale e dalle monete private promosse dai giganti del web, le banche centrali scoprono l’innovazione dell’ingegneria monetaria come trincea di guerre geopolitiche. A Basilea la Banca dei regolamenti internazionali tenta di coordinare e conciliare gli sforzi delle diverse banche centrali sul tema del contante digitale. In ogni caso, pur consapevoli dei rischi sistemici di questi scenari, è una buona notizia che la concorrenza di mercato rilanci scenari evolutivi nella storia della moneta e che la concorrenza tra stati si esprima oggi a livello finanziario e commerciale e non in trincea o con armi di distruzione di massa.

 

L’inarrestabile stratagemma di Bitcoin

Nel frattempo, Bitcoin continua la sua corsa, incurante di quei critici che sembrano ancora oggi semplicemente infastiditi dal fenomeno e seccati di doverlo commentare, più che essere interessati a comprenderlo. La dichiarazione di Tremonti su Bitcoin e la quotazione di Coinbase (“hanno quotato il nulla, certificato dal nulla. Nulla a mezzo di nulla, si può dire”), fa compagnia alle opinioni altrettanto feroci di altri illustri critici come Krugman e Stiglitz.  Del primo si può ricordare la frase “l’impatto di Internet sull’economia non sarà superiore a quello avuto dal fax”. Il secondo stimò la probabilità di fallimento delle agenzie americane Fannie Mae e Freddie Mac talmente piccola da non essere misurabile: quei fallimenti hanno innescato la crisi finanziaria del 2007 che dura tutt’ora. Anche persone intelligenti e premi Nobel possono prendere cantonate.

 

Bitcoin è un esempio di permissionless innovation, l’innovazione che non chiede il permesso: non ha meccanismi di sicurezza centralizzati, non ha barriere all’ingresso, non ha controllo editoriale. Non si tratta di un programma anarchico o velleitariamente rivoluzionario, la permissionless innovation ha già dimostrato di essere gentile ed efficace: la posta elettronica non è stata progettata da un consorzio di uffici postali, Internet non è stata sviluppata da un consorzio di società di telecomunicazione. È alquanto implausibile che una nuova moneta e il suo network transazionale siano disegnati da un consorzio di banche e governi.

 

Hayek sosteneva che “non vedremo più una buona moneta se prima non la togliamo dalle mani dei governi; e siccome non vogliamo farlo con la violenza dovremo allora farlo con un astuto stratagemma, introducendo qualcosa che non possano fermare”. Bitcoin è proprio questo inarrestabile stratagemma. Non è moneta, non decolla il suo uso transazionale: non ha fatto un buon affare chi ha comprato due pizze nel 2010 pagandole 10 mila bitcoin, cioè 650 milioni di dollari al cambio attuale. Ma Bitcoin è, o perlomeno vuole essere, l’equivalente digitale dell’oro; un oro che ha inoltre incorporato un network transazionale veloce, sicuro e incensurabile. Se consideriamo il ruolo dell’oro nella storia della civilizzazione, della moneta e della finanza, possiamo intuire che l’emergere del suo equivalente digitale potrà essere dirompente nell’attuale civilizzazione digitale e nel futuro della moneta e della finanza. In attesa di monete private che utilizzino riserve denominate in Bitcoin: un Bitcoin standard che potrebbe rilanciare il gold standard in versione digitale, magari rivisto secondo le idee del Compensated Dollar di Irving Fisher. E queste monete potranno essere la realizzazione del sogno hayekiano di concorrenza tra monete libere che competono nell’individuare un paniere di riferimento e nel garantire la stabilità del potere di acquisto rispetto a quel paniere.

 

Non stupisce quindi la crescita incredibile del prezzo di Bitcoin che anzi, probabilmente, non è ancora arrivata a maturazione; né spaventa l’intrinseca volatilità della dinamica del prezzo, cioè del processo con cui il mercato tenta di metterne a fuoco il valore. In questa corsa all’oro digitale disturba, infatti, ancora la presenza significativa di un circo di fuorilegge, ubriaconi, furfanti, truffatori e ciarlatani che confondono la scena, creano confusione, rafforzano pregiudizi. Ma così come San Francisco è stata edificata quando la polvere del Far West si è posata, così si può essere confidenti che mercato e rule of law beneficeranno alla fine degli anticorpi di libertà che Bitcoin sta facendo inesorabilmente crescere.

 

Ferdinando M. Ametrano, Università Milano-Bicocca e  amministratore delegato CheckSig

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