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Il futuro di Internet

Guerra e privacy

Eugenio Cau

Tim Cook e Mark Zuckerberg si detestano. Ma dietro allo scontro tra Apple e Facebook sui dati c’è un’idea di democrazia (e tanti soldi)

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Non dev’essere facile essere Mark Zuckerberg. Il creatore di Facebook è uno degli uomini più ricchi del mondo, un padre di famiglia, un genio precoce e una delle poche persone sulla terra che può dire con un buon grado di certezza di aver cambiato la storia. Eppure non dev’essere facile essere Mark Zuckerberg, specie se quasi tutti concordano con l’idea che tu abbia cambiato la storia, sì, ma in peggio. Che Facebook abbia messo in pericolo la democrazia, favorito l’ascesa del populismo, ucciso il dibattito politico e che sia stato utilizzato per organizzare atti di violenza nel mondo reale, con morti e feriti. È probabile, dunque, che Zuckerberg abbia ormai fatto l’abitudine alle critiche, e che non vi dia troppo peso. Ma alcuni articoli ben informati hanno raccontato che da qualche anno Zuckerberg perde la calma davanti a un critico particolare, a tal punto che nel 2018, dopo un battibecco a distanza, avrebbe detto ai suoi: “Dobbiamo infliggere del dolore”.

 

Il critico che fa impazzire Zuckerberg non è uno dei senatori americani che vorrebbe scorporare Facebook con una procedura antitrust, né uno dei tanti opinionisti che accusa Facebook praticamente di ogni nefandezza, ma Tim Cook, l’apparentemente pacato amministratore delegato di Apple. La frase qui sopra l’ha riportata il Wall Street Journal, in un articolo pieno di dettagli scritto qualche settimana fa da Deepa Seetharaman, Emily Glazer e Tim Higgins. Tra le due aziende, Apple e Facebook, da anni si combatte una lotta che potrebbe determinare il futuro di internet – e dietro a questa lotta c’è il confronto tra le due personalità che queste aziende guidano: gli scontri tra i due, benché sempre a distanza, sono molto pubblici e di una violenza inusuale per la Silicon Valley. Soprattutto negli ultimi mesi questo scontro è diventato durissimo: Facebook accusa Apple di volerlo distruggere, e nel frattempo mira a fare lo stesso – infliggere del dolore, appunto.

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Apparentemente, Apple e Facebook non avrebbero ragioni di essere avversari. Apple produce hardware, cioè apparecchi come gli iPhone e i computer Mac, mentre Facebook produce software, come il social network omonimo, Instagram e WhatsApp. Le due aziende dovrebbero essere compatibili, servono l’una all’altra: senza iPhone Facebook non gira, e senza Facebook (e Instagram e WhatsApp) iPhone è un po’ più noioso. Ma ci sono diverse ragioni per cui le due aziende si affrontano da anni, e per cui lo scontro è diventato molto violento negli ultimi mesi. La battaglia si combatte per una questione di principio dietro alla quale si trovano calcoli di business. E Apple ha aggredito per prima. Da qualche anno Apple cerca di posizionarsi come azienda leader nella tutela della privacy dei suoi utenti.

 

Qui i princìpi etici e gli interessi economici si intrecciano strettamente: da un lato Tim Cook è davvero convinto del valore della privacy; quest’attenzione è parte della cultura di Apple da anni e discende direttamente dal fondatore Steve Jobs, che nel 2010 già diceva: “Noi abbiamo un approccio alla privacy molto diverso da alcuni colleghi della Silicon Valley, la prendiamo estremamente sul serio”. Durante la stessa intervista, Jobs diede una definizione di privacy che Apple ha continuato a seguire e perfezionare anche dopo la sua morte un anno dopo: “Privacy significa che le persone devono sapere a cosa stanno dando il consenso. In inglese semplice e ripetutamente. Sono un ottimista e sono convinto che le persone siano intelligenti. E alcune persone vogliono condividere più dati di altre: chiediglielo. Chiediglielo ogni volta… Fagli sapere precisamente cosa farai con i loro dati”. Si può dire che lo scontro tra Apple e Facebook sia cominciato in quel momento: il 2010 è stato anche l’anno in cui un giovanissimo Mark Zuckerberg, partecipando a un altro evento, disse che la privacy non era più una “norma sociale”, e che ormai le persone non hanno più problemi a condividere dati online.

 

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Da allora la posizione di Zuckerberg è cambiata molto, ma Facebook è ancora costruito su questo principio. Apple ha continuato anche dopo la morte di Steve Jobs a sostenere una posizione molto favorevole alla tutela della privacy, intensificando la sua attività soprattutto a partire dal 2016, quando i social network, soprattutto Facebook, furono colpiti da scandali gravissimi, che hanno danneggiato in maniera irreparabile la loro reputazione. Mentre Facebook veniva accusato di aver favorito la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane e di aver spinto l’ascesa del populismo tramite il suo algoritmo, e mentre Zuckerberg veniva messo in grave difficoltà dallo scandalo di Cambridge Analytica, Apple lanciava una campagna via l’altra per spiegare agli utenti quanto i suoi prodotti fossero rispettosi dei loro dati personali. Cook ha partecipato in maniera sempre più attiva a queste campagne, attaccando Facebook in più di un’occasione, pur senza citarlo.

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Nel 2018, quando un giornalista gli chiese cosa farebbe se fosse amministratore delegato di Facebook, lui rispose secco: “Non mi troverei in questa situazione”. C’è del calcolo evidente dietro alla posizione di Apple: l’azienda può permettersi di difendere la privacy perché il suo business non dipende dalla raccolta dei dati degli utenti, come è invece per il 90 per cento circa del fatturato di Facebook e una quota leggermente più piccola di quello di Google. E dunque la privacy è la battaglia perfetta per Apple, perché le consente di adottare una causa molto apprezzata dal pubblico e al tempo stesso di danneggiare dei potenziali rivali. Le aree di rivalità tra Apple e Facebook si sono andate espandendo nel corso degli anni, seguendo la natura tentacolare delle grandi aziende tecnologiche che vanno espandendosi in tutti i campi propizi. Apple, con iMessage, ha un grosso interesse nella messaggistica, e lo stesso vale per Facebook con WhatsApp. Facebook non ha mai prodotto uno smartphone, ma si sta espandendo nella produzione di device, per esempio per la realtà virtuale, un settore che ad Apple interessa molto. Entrambe, inoltre, cercano di espandersi nei servizi finanziari e nei pagamenti digitali.

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Apple ha integrato diverse funzioni per la protezione della privacy nel corso degli anni, ma ha cominciato a introdurre novità davvero pericolose per il business di Facebook soltanto da pochi mesi. L’anno scorso, per esempio, ha costretto gli sviluppatori di app che operano nel suo App Store a elencare uno per uno e in maniera chiara tutti gli modi in cui utilizzano i dati degli utenti, e gli elenchi lunghissimi delle app di Facebook, che raccolgono praticamente qualsiasi dato disponibile, hanno decisamente dato nell’occhio. Il vero colpo però è arrivato dopo, con l’annuncio che, con un aggiornamento del sistema operativo degli iPhone, Apple chiederà agli utenti un consenso esplicito per consentire alle applicazioni di tracciare le loro attività online. Con il nuovo aggiornamento, che dovrebbe arrivare nelle prossime settimane, Apple chiederà agli utenti se desiderano che Facebook, Instagram o qualunque altra app tracci la loro attività “sulle app di altre compagnie e sui siti web”. Per intenderci, questo tipo di tracciamento è quello che fa in modo che quando cerchiamo su Google “scarpe da ginnastica” ci appaiano per settimane pubblicità di scarpe da ginnastica su Facebook e su altri siti. Davanti a un messaggio che chiede all’utente se vuole essere tracciato o meno, è probabile che questo risponda di no, e che Facebook perda così un’enormità di dati preziosi per la sua pubblicità personalizzata.

 

La mossa di Apple è un enorme beneficio in termini di tutela della privacy, ma un gravissimo problema per Facebook, il cui business dipende dal tracciamento pubblicitario. A essere messo in difficoltà non è soltanto il business di Facebook, ma Tim Cook ha reso ben chiaro qual è il suo obiettivo. In un discorso tenuto a febbraio di quest’anno alla Computers, Privacy and Data Protection conference di Bruxelles, senza mai citarlo, Cook ha denunciato pezzo per pezzo il modello di business di Facebook, descrivendolo come pericoloso: “In un momento in cui la disinformazione e le teorie del complotto dilagano alimentate dagli algoritmi, non possiamo più chiudere gli occhi davanti a chi sostiene che ogni tipo di interazione è buona, che più dura meglio è, perché l’unico obiettivo è raccogliere la maggior quantità possibile di dati… Quali conseguenze avrà la scelta di dare la priorità a teorie complottiste e incitazioni alla violenza solo perché hanno un tasso di interazione elevato?… Quali conseguenze avrà la scelta di spingere migliaia di utenti verso gruppi estremisti, per poi applicare un algoritmo che ne suggerisca altri ancora? Non possiamo più fingere che questo tipo di approccio non abbia un costo in termini di polarizzazione, di perdita di fiducia e, sì, anche di violenza”.

 

Facebook ha risposto con rabbia. Ha sostenuto che i suoi prodotti tutelano già abbondantemente la privacy e che gli attacchi di Apple sono strumentali, soprattutto perché il vero monopolio è quello dell’azienda di Tim Cook, che gestisce un sistema chiuso e che, con il suo App Store, può decidere in maniera insindacabile quali applicazioni hanno diritto a stare sugli iPhone e quali no, e può aggiungere a suo piacimento nuove funzioni che, come quelle sulla privacy, possono mettere in pericolo il business di aziende che producono app e servizi. Oggi tocca a noi, dicono da Facebook, domani potrebbe toccare a qualcun altro. In questa battaglia, il social network si trova in enorme svantaggio. Anzitutto perché, indipendentemente dalle motivazioni di Apple, tutti gli analisti concordano nel dire che i cambiamenti fatti ad iOS e tutte le misure di tutela della privacy sono un passo avanti nella giusta direzione e una buona novità per gli utenti. In secondo luogo, Facebook ha ragione quando dice che Apple agisce da una posizione di forza, perché grazie ad iOS il rapporto è fortemente sbilanciato: dei due contendenti, quello che ha più disperatamente bisogno dell’altro è Facebook.

 

In una comunicazione inviata a dicembre, i dirigenti di Facebook hanno fatto sapere: “Non siamo d’accordo con l’approccio e la soluzione di Apple, ma non abbiamo altra scelta che mostrare l’avviso (sull’eliminazione del tracciamento, ndr)… Se non lo facciamo, riteniamo che bloccheranno Facebook”. È una notevole dichiarazione d’impotenza. Nel concreto, Facebook non ha potuto fare molto per ostacolare Apple: ha lanciato una grande campagna di comunicazione per denunciare il monopolio dell’azienda sull’App Store, sostenendo che con le sue misure a tutela della privacy Apple avrebbe danneggiato moltissime piccole aziende che si affidano alla pubblicità personalizzata per il loro business, e sta cercando modi per convincere gli utenti a cedere volontariamente i loro dati, in cambio della promessa un prodotto migliore. Sta anche facendo attività di lobby per convincere procuratori e politici negli Stati Uniti ad aprire inchieste Antitrust contro Apple.

 

Entrambe le aziende sono state accusate, sia negli Stati Uniti sia dall’Unione Europea, di abuso di posizione dominante. E poi c’è lo scontro tra i due amministratori delegati. Zuckerberg, sostengono i media americani, ha preso sul personale gli attacchi di Apple, e vi sta dedicando tempo e attenzione, rubandolo ad altre emergenze non meno serie. Tim Cook non è mai stato così duro e così esplicito nella condanna di nessun altro personaggio pubblico. Secondo il Wall Street Journal, i due faticano ad andarsi a genio anche personalmente: nel 2018 tentarono un incontro pacificatore, che però terminò in maniera tesissima. Anche i dipendenti delle rispettive aziende risentono di questo clima: soprattutto quelli di Facebook sarebbero convinti, con il loro ceo, che Apple ce l’abbia con loro. Dietro alla lotta tra Apple e Google, come ha spiegato l’Economist, c’è un dibattito più grande sul futuro dell’economia di internet, che finora è stata dominata dalla pubblicità e dallo sfruttamento dei dati personali.

 

Questo ha generato enormi ricchezze, ma provocato anche grossi problemi, e creato un’economia spesso insostenibile (chiedere ai giornali australiani, in lotta con Facebook per una manciata di ricavi pubblicitari). Apple sta approfittando della sua posizione di forza per cambiare quest’economia, ma forse l’azienda più interessante da tenere d’occhio è Google, che dovrebbe essere non meno colpito di Facebook dalle misure di Apple a tutela della privacy. L’azienda però, a inizio marzo, ha annunciato a sorpresa che smetterà di usare sistemi che tracciano gli utenti attraverso molteplici siti internet e app: esattamente il tipo di tracciamento che Apple vorrebbe ridurre. Questo non significa che Google smetterà di vendere pubblicità online, dalla quale continuano a derivare la gran parte delle sue entrate, ma che evidentemente deve aver trovato il modo di renderla più efficace. Non sappiamo ancora con certezza di cosa si tratti, anche se c’è qualche ipotesi, ma la prospettiva è interessante. Dalla guerra attorno alla privacy potrebbe scaturire una nuova stagione di competizione e innovazione online.

 

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