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Sollievo Clubhouse

Simonetta Sciandivasci

Niente foto, video, status, tag. Si parla e si ascolta. Sembra il Novecento, è un social network

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Su Clubhouse si parla e, soprattutto, si ascolta. Niente foto, video, status, cip, link, like, reaction, adesivi, tag, chat, dm, pm, gif, poke. Che sollievo, perbacco, sembra il Novecento e invece è un social network. Si accede su invito di un iscritto, cosa castale non fattuale – vuoi che nel giro di pochi giorni non avremo tutti un amico invitato che potrà a sua volta invitarci – ma di sicuro impatto estetico e fenomenologico. 

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Su Clubhouse si parla e, soprattutto, si ascolta. Niente foto, video, status, cip, link, like, reaction, adesivi, tag, chat, dm, pm, gif, poke. Che sollievo, perbacco, sembra il Novecento e invece è un social network. Si accede su invito di un iscritto, cosa castale non fattuale – vuoi che nel giro di pochi giorni non avremo tutti un amico invitato che potrà a sua volta invitarci – ma di sicuro impatto estetico e fenomenologico. 

   
La selezione c’è, ma non all’ingresso – e qua si vede lo chic, ché i buttafuori sono roba da nightclub. Tu utente zero, no, scusa, tu utente X, entri in Clubhouse e ti si dipana davanti un’offerta più o meno vasta e più o meno varia di room, cioè camere, tutte contrassegnate dall’argomento di cui si discute al loro interno e dal numero di partecipanti: entri, ascolti, scorri, vedi le facce degli astanti, non in video ma in foto, puoi cliccarci sopra e aprire la di essi paginetta con la bio essenziale e nient’alto, e soprattutto, prima di parlare, se proprio vuoi parlare, devi chiedere il permesso, devi pigiare su un tastino a forma di manina, come si faceva alle scuole elementari fino alla seconda metà del Novecento, e non è neppure detto che ti sia concesso farlo, bisogna capire se il moderatore si accorge di te, se ti ritiene degno, e svariati altri se che sono allo studio degli osservatori, caro x, abbi pazienza, è tutto nuovo anche per noi. Non ti agitare, X, non è censura ma selezione, e speriamo duri, e finché dura goditi il tempo indefinito e indefinibile tra il chiedere la parola e l’ottenerla, un’esperienza che nessun essere umano fa più da decenni, magari ti serve a scoprire che non sempre è il caso di intervenire, che ascoltare è più interessante di argomentare. Tutti possono vederti entrare e uscire, ma solo nelle room meno affollate, esattamente come alla Fiera libresca romana di Più Libri Più Liberi, con la quale Clubhouse, almeno in queste sue prime ore di vita, almeno nel nostro paese, condivide anche temi, professioni ed età media degli astanti – la scrivente, al minuto due dall’iscrizione ha ricevuto l’invito per STANZA VATICANA e al giorno uno si è ritrovata infilata in una room di BENVENUTO ALLA SCRITTRICE OMISSIS, e se non è andata a nascondersi sotto al letto è stato solo per dovere di reporter. 

    
Siamo all’inizio, nessuno ci capisce molto, su Twitter se ne parla abbastanza, su Facebook, date le condizioni nosocomiali, c’è piuttosto grande allerta per TikTok, infanticida e spia cinese e anche russa. Ieri sembrava un’invenzione terrificante e oggi no, oggi è già migliorato, oggi è la maniera più brillante di archiviare Zoom, Skype e tutta la pornografia domestica dell’interconnessione pandemica e, soprattutto, è un incrocio di radio e podcast dalle potenzialità gigantesche e persino interessanti. Parli se hai da dire, se sai farlo, accedere non significa avere, stare non significa mostrarsi, ascoltare non significa reagire: significa ascoltare. La voce, come la letteratura, è la piattaforma alla quale torniamo sempre. L’ascolto, come la lettura, sono le uniche cose sopportabili in questa vita di assalti. 
    

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