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Cosa c'è dietro il default tecnologico del cashback

Carlo Alberto Carnevale Maffè

Attenti a non coltivare una visione dirigista della tecnologia: il rischio è allontanarci dall’Europa e avvicinarci a Rousseau

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Un disastro tecnologico e organizzativo, by design. Anche nel caso del cashback il governo inanella l’ennesimo fallimento annunciato, dimostrando l’incapacità di imparare dai ripetuti errori commessi con i “click day” per i vari bonus e la sequenza di figuracce digitali dell’Inps sotto la gestione Tridico.

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Un disastro tecnologico e organizzativo, by design. Anche nel caso del cashback il governo inanella l’ennesimo fallimento annunciato, dimostrando l’incapacità di imparare dai ripetuti errori commessi con i “click day” per i vari bonus e la sequenza di figuracce digitali dell’Inps sotto la gestione Tridico.

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Ma con l’app “IO” legata alla promessa del cashback e della lotteria degli scontrini si va oltre lo scontatissimo default tecnologico, con i malfunzionamenti e i ritardi riscontrati da milioni di cittadini in questi ultimi giorni, e si entra nella pura perversione organizzativa, se non nel mettere a rischio l’integrità dei dati dei cittadini. Vediamo di capire perché. In termini tecnologici, un click day è un “DoS” (Denial of Service) pianificato e prevedibile. Se dici a decine di milioni di cittadini che, alle 12.00.00, i primi che arrivano vincono 1.000 euro, alle 12.00.01 avrai un picco di decine di milioni di accessi. E il rischio di caduta del servizio è altissimo. Il disservizio percepito, inoltre, è pressoché certo. Il pur ben intenzionato piano di cashback e di lotteria degli scontrini per pagamenti digitali, se basato sul monopolio statale de facto della soluzione tecnica così detta “front end”, è frutto di vera perversione dirigistica. Invece di scegliere apertamente un modello federato, concentrandosi sul back end (ovvero sui sistemi informativi interni a istituzioni e imprese), come è correttamente stato fatto nel caso di Spid per l’identità digitale, il governo ha scelto di utilizzare e promuovere un proprio front-end, basato su una soluzione sviluppata in casa: l’app “IO”.

 

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Con il modello aperto di Spid, lo stato ha creato un mercato di provider autorizzati, sia di natura pubblica (per esempio, Poste Italiane e Lepida) sia privati, in sana competizione tra loro per offrire la migliore soluzione tecnologica, lasciando ai cittadini la libertà di scegliere il provider più efficiente. Il tutto basato su un’architettura dove solo il back end – cuore del monopolio pubblico sulla certificazione – è centralizzato, mentre il front end viene reso aperto e competitivo grazie all’adozione di architetture interoperabili basate su tecnologia Api (Application Programming Interface). Adottando questa architettura, che ricava un ruolo centrale per gli “infomediari” di fiducia dei cittadini, non solo si mitiga il rischio tecnologico e operativo, ma si attirano capitali, competenze e innovazioni del mondo privato, mettendoli al servizio dei cittadini. Il paradosso è che proprio nell’ambito dei pagamenti digitali, grazie alla direttiva europea Psd2, si è sperimentata l’efficacia e la portata innovativa del principio “Api first” e sull’interoperabilità tra back end e di diverse soluzioni di front-end. Ma quando prevale la cultura politica statalista, il governo fa l’apprendista stregone della tecnologia, proponendo – se non imponendo – il proprio front-end per ragioni esplicite di immagine pubblica, o per obiettivi di controllo sulle informazioni dei cittadini, modello “Rousseau”?

 

Oggi ogni politico vuole inaugurare la sua app come fosse un asilo o un cavalcavia, per di più costruito in casa, lanciando una specie di startup tecnologica in house, come nel caso di PagoPA, senza adeguata competizione e senza necessaria trasparenza. E il disservizio è inevitabile. Fortunatamente, le funzionalità di cashback sono accessibili anche con altre applicazioni di mercato. Ma lo stato non è – né potrà mai diventare – uno sviluppatore qualunque di app. La forza dello stato si basa sul monopolio dell’autorità legittima. E la concentrazione di informazioni geolocalizzate e nominali sui cittadini in un solo luogo, sotto il controllo del governo, è un rischio democratico. La possibilità di una sorveglianza di massa, ottenuta a furor di popolo promettendo la mancetta di 150 euro, è a portata di mano. Il cerchio si chiude se si prevede che per accedere a certi servizi pubblici diventi obbligatorio avere l’app “IO”. Lo stato non si metta a scimmiottare le startup e, invece di imporre pericolosi e inefficienti monopoli tecnologici, adotti princìpi di disegno dei servizi digitali basati sui criteri indicati dalla Commissione europea: aperti, interoperabili, competitivi e trasparenti. Prima di restituire qualche euro di cash per promuovere – meritoriamente, invero – i pagamenti digitali, lo stato restituisca ai cittadini un mercato di servizi tecnologici competitivo e neutrale, insieme alla garanzia del pieno controllo democratico sui propri dati.

 

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