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Siti senza cookie? Si può, e non è detto che non sia conveniente

Eugenio Cau

La pubblicità targettizzata è un mantra di internet, ma eliminarla potrebbe salvare il giornalismo. Il caso della televisione pubblica olandese

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Milano. Avete presente cosa succede quando aprite un sito internet che non avete mai visitato, o non visitate da un po’: in Europa, grazie al Gdpr, il regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, la prima cosa che si vede è una finestrella che chiede il vostro permesso per arraffarvi i dati o, meglio, per farvi scaricare i cookie, frammenti di codice che vi seguono da un sito all’altro e registrano il vostro comportamento. La stragrande maggioranza di noi vorrebbe evitare i cookie spioni, ed è per questo che, di solito, i siti internet cercano di rendere queste finestrelle il più complicate e confuse possibile. Il pulsante per negare il consenso è nascosto, scolorato, o sepolto in mezzo a infinite sottofinestrelle. I siti internet vogliono arraffare i vostri dati perché è stato detto loro che soltanto grazie a quelli è possibile targettizzare la pubblicità, cioè adattare l’offerta pubblicitaria a ogni singolo utente. E’ quella cosa per cui se cercate informazioni a proposito di pannolini per bambini su Google, per le settimane successive tutti i siti e tutte le app saranno pieni di pubblicità di pannolini, culle e ciucciotti: siete stati targettizzati come neogenitori.

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Milano. Avete presente cosa succede quando aprite un sito internet che non avete mai visitato, o non visitate da un po’: in Europa, grazie al Gdpr, il regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, la prima cosa che si vede è una finestrella che chiede il vostro permesso per arraffarvi i dati o, meglio, per farvi scaricare i cookie, frammenti di codice che vi seguono da un sito all’altro e registrano il vostro comportamento. La stragrande maggioranza di noi vorrebbe evitare i cookie spioni, ed è per questo che, di solito, i siti internet cercano di rendere queste finestrelle il più complicate e confuse possibile. Il pulsante per negare il consenso è nascosto, scolorato, o sepolto in mezzo a infinite sottofinestrelle. I siti internet vogliono arraffare i vostri dati perché è stato detto loro che soltanto grazie a quelli è possibile targettizzare la pubblicità, cioè adattare l’offerta pubblicitaria a ogni singolo utente. E’ quella cosa per cui se cercate informazioni a proposito di pannolini per bambini su Google, per le settimane successive tutti i siti e tutte le app saranno pieni di pubblicità di pannolini, culle e ciucciotti: siete stati targettizzati come neogenitori.

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Ieri Gilad Edelman su Wired America ha raccontato a questo proposito la storia interessante e controintuitiva del sito internet della televisione pubblica olandese, la Npo. Al contrario della stragrande maggioranza dei siti, fin dall’approvazione del Gdpr quello della Npo rendeva molto facile togliere il consenso all’utilizzo dei propri dati. Non solo, al contrario della stragrande maggioranza dei siti internet, che utilizzano il metodo del silenzio-assenso (se chiudete la finestrella è come aver accettato tutto il tracciamento possibile), il sito della Npo faceva il contrario, se snobbate la finestrella non prende i vostri dati. Risultato: dopo pochi mesi il 90 per cento degli utenti aveva negato il consenso al tracciamento e all’installazione dei cookie. Secondo la vulgata comune diffusa dalle più grandi aziende pubblicitarie del mondo, cioè Facebook e Google, un sito internet che non fa uso di cookies di tracciamento perde oltre il 50 per cento dei ricavi pubblicitari, perché la pubblicità targettizzata è infinitamente più efficace. Ma è davvero così? L’esperienza di Npo dice il contrario. La pubblicità senza cookie era profittevole tanto quanto quella che li conteneva, al punto che, lo scorso gennaio, Npo ha deciso di eliminare del tutto i cookie di tracciamento e il microtargeting.

   

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La pubblicità targettizzata in occidente è venduta in gran parte tramite i sistemi automatici di Google. Quando l’utente apre una pagina web, Google raccoglie tutti i dati possibili su di lui e avvia un’asta in tempo reale tra gli inserzionisti, per decidere chi paga di più per far vedere la propria pubblicità a un determinato profilo. L’idea è che le pubblicità targettizzate siano più interessanti per il consumatore, e dunque più efficaci. Npo invece ha deciso di rinunciare completamente a Google e di crearsi un sistema ad hoc per distribuire pubblicità cosiddetta contestuale, che è un po’ quella si faceva prima di internet, e che grossomodo significa: la pubblicità delle scarpe da ginnastica la metti nelle pagine sportive del giornale, la pubblicità dei giocattoli in tv la metti durante le trasmissioni per bambini. Npo ha fatto uguale con il suo sito internet.

   

Certo Npo avrà sofferto gravi perdite economiche per essere tornato a questo modo primitivo e arcaico di distribuire la pubblicità, direte. Il contrario. Gli introiti pubblicitari del sito olandese non sono mai stati così alti, a gennaio le entrate sono aumentate del 62 per cento rispetto all’anno prima, a febbraio del 79 per cento, e anche quando l’epidemia da coronavirus ha colpito il mercato pubblicitario Npo ha continuato a registrare una crescita a doppia cifra rispetto al 2019. Com’è possibile? Sentiti da Wired, quelli di Npo hanno detto che secondo loro la pubblicità targettizzata è un po’ una bufala: prima di rinunciare ai cookie hanno fatto molti studi e molte prove, e alla fine tracciare e spiare gli utenti non rende la pubblicità targettizzata più efficace di quanto non sia la pubblicità vecchio stile. Questa affermazione è sostenuta da un corpus sempre più interessante di studi e di esperienze. Inoltre, per questa presunta bufala, Google e Facebook si fanno pagare profumatamente: la quota di Google è del 30 per cento, a cui bisogna aggiungere le tariffe di numerosi altri intermediari più nascosti. Con il sistema contestuale vecchio stile, invece, il 100 per cento di quello che pagano gli inserzionisti va a Npo.

   

Ora, quello di Npo è un caso unico, e non è detto che sia conveniente per tutti eliminare i cookie e i sistemi pubblicitari targettizzati di Google e Facebook. Ma ricorderete che qualche anno fa, negli anni ruggenti dell’economia di internet, andava di moda una parola interessante: disintermediazione. Il mantra era eliminare gli intermediari in tutti i settori produttivi per renderli più snelli e migliorare l’esperienza dei consumatori. Nel settore della pubblicità online, gli intermediari sono Facebook e Google.

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