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Perché la decisione del Tribunale Ue sul caso Apple è uno smacco per Bruxelles

David Carretta

La Corte di Giustizia dell'Ue annulla la decisione della Commissione di dichiarare come aiuti di stato illegali il regime fiscale di cui ha beneficiato il colosso tecnologico in Irlanda. La strategia dell'esecutivo europeo, i veti degli stati e una (possibile) scappatoia

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Bruxelles. Il Tribunale dell'Unione europea ha annullato la decisione della Commissione europea di dichiarare come aiuti di stato illegali il regime fiscale di cui ha beneficiato Apple in Irlanda, infliggendo un colpo durissimo alla strategia dell'esecutivo comunitario, e in particolare della zarina dell'Antitrust Margethe Vestager, nella lotta contro l'ottimizzazione fiscale delle multinazionali. Secondo i giudici di Lussemburgo, la Commissione non è riuscita a dimostrare a sufficienza l'esistenza di un vantaggio selettivo a favore di Apple. Anche se il Tribunale ha deplorato “il carattere lacunoso e a volte incoerente dei tax ruling contestati”, la Commissione non è riuscita a dimostrare “l'esistenza di un vantaggio” per Apple, né che “le decisioni fiscali anticipate fossero conseguenza del potere discrezionale esercitato dalle autorità fiscali irlandesi”. La Commissione potrà ricorrere davanti alla Corte di giustizia dell'Ue. Ma la decisione di imporre a Apple di rimborsare 13 miliardi di euro di aiuti illegali – l'ammontare di tasse non pagate tra il 2007 e il 2016 – era diventata un simbolo politico forte della determinazione di Vestager e della Commissione di aggirare i veti di alcuni stati membri a una maggiore armonizzazione sul piano fiscale. L'errore è stato di far politica con uno strumento delicato come le regole sugli aiuti di Stato.

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Bruxelles. Il Tribunale dell'Unione europea ha annullato la decisione della Commissione europea di dichiarare come aiuti di stato illegali il regime fiscale di cui ha beneficiato Apple in Irlanda, infliggendo un colpo durissimo alla strategia dell'esecutivo comunitario, e in particolare della zarina dell'Antitrust Margethe Vestager, nella lotta contro l'ottimizzazione fiscale delle multinazionali. Secondo i giudici di Lussemburgo, la Commissione non è riuscita a dimostrare a sufficienza l'esistenza di un vantaggio selettivo a favore di Apple. Anche se il Tribunale ha deplorato “il carattere lacunoso e a volte incoerente dei tax ruling contestati”, la Commissione non è riuscita a dimostrare “l'esistenza di un vantaggio” per Apple, né che “le decisioni fiscali anticipate fossero conseguenza del potere discrezionale esercitato dalle autorità fiscali irlandesi”. La Commissione potrà ricorrere davanti alla Corte di giustizia dell'Ue. Ma la decisione di imporre a Apple di rimborsare 13 miliardi di euro di aiuti illegali – l'ammontare di tasse non pagate tra il 2007 e il 2016 – era diventata un simbolo politico forte della determinazione di Vestager e della Commissione di aggirare i veti di alcuni stati membri a una maggiore armonizzazione sul piano fiscale. L'errore è stato di far politica con uno strumento delicato come le regole sugli aiuti di Stato.

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Dal 2014, quando lo scandalo dei LuxLeaks macchiò l'avvio della Commissione Juncker, la strategia della Commissione è stata di utilizzare la regolamentazione sugli aiuti di stato per dare la caccia agli schemi di ottimizzazione fiscale delle multinazionali e reprimere i regimi di tassazione nazionali favorevoli di alcuni stati membri. La via legislativa era ostruita dall'unanimità in materia fiscale: tutti i tentativi di imporre livelli di imposizione minimi comuni, così come una Digital Tax o una tassa sulle transazioni finanziarie, sono andati a sbattere contro uno o più veti da parte di stati membri come Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Malta.

 

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Vestager è così passata all'azione contestando gli aiuti di stato. Oltre a Apple in Irlanda, nel mirino della zarina dell'Antitrust sono finite multinazionali come Amazon (in Olanda) e Fiat (in Lussemburgo). Nel caso Apple, la Commissione aveva sostenuto che grazie a due tax ruling (decisioni amministrative fiscali anticipate, ndr) emessi da Dublino nel 1991 e 2007, Cupertino aveva beneficiato di un tasso di imposizione sui profitti di gran lunga inferiore all'aliquota ufficiale irlandese del 12,5 per cento. Grazie a questo schema due sussidiarie, Apple Sales International e Apple Operations Europe, nel 2014 avrebbe pagato lo 0,005 per cento sui profitti non solo in Europa, ma anche in Africa, Medio Oriente e Asia.

  

Nei loro ricorsi contro la decisione della Commissione, l'Irlanda e Apple avevano contestato l'approccio di Vestager sul piano giuridico, ma anche politico. Il governo irlandese aveva accusato la Commissione di cercare di “riscrivere la legislazione irlandese sull'imposta sulle società”. Apple aveva sostenuto che il risultato dell'inchiesta di Vestager era “predeterminato” sin dall'inizio. Giuridicamente e politicamente, la sentenza del Tribunale Ue è sicuramente un duro colpo. Per correre ai ripari la Commissione oggi presenterà una serie di proposte per limitare l'ottimizzazione fiscale dentro l'Ue.

  

Nel frattempo, sempre più voci si levano per utilizzare un articolo del Trattato – l'articolo 116 – che permetterebbe di aggirare la regola dell'unanimità sulla tassazione sull'altare del buon funzionamento del mercato interno. “Qualora la Commissione constati che una disparità esistente nelle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri falsa le condizioni di concorrenza sul mercato interno e provoca, per tal motivo, una distorsione che deve essere eliminata, essa provvede a consultarsi con gli stati membri interessati”, dice l'articolo 116, che nessuno ha mai utilizzato: “Se attraverso tale consultazione non si raggiunge un accordo che elimini la distorsione in questione, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le direttive all'uopo necessarie”.

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