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Bravi i social (per ora)

Eugenio Cau

Per una volta le piattaforme si sono mosse per prime contro le fake sul virus. Non smettere anche sul resto

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Milano. In quest’epoca di coronavirus, in cui quanto la malattia si teme la diffusione del panico, e soprattutto del panico generato da notizie false, quei covi di fake news che abitualmente sono i social media si sono comportati sorprendentemente bene. Si sono mossi tutti in maniera proattiva per limitare ed eliminare le fake news, e questa frase avremmo voluto scriverla anni fa. Di solito, infatti, quando si è trattato di fermare le fake news i social network hanno sempre giocato di reazione. Una cospirazione politica o una teoria del complotto sanitaria cominciava a diventare virale? I social network non se ne occupavano, o se ne occupavano svogliatamente, finché qualche giornalista non se ne accorgeva e faceva partire il circo dell’indignazione politica. Solo allora, e soltanto in alcuni casi, i social cominciavano a prendere provvedimenti. Con il coronavirus, invece, si sono mossi rapidamente e, appunto, prendendo l’iniziativa per primi.

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Milano. In quest’epoca di coronavirus, in cui quanto la malattia si teme la diffusione del panico, e soprattutto del panico generato da notizie false, quei covi di fake news che abitualmente sono i social media si sono comportati sorprendentemente bene. Si sono mossi tutti in maniera proattiva per limitare ed eliminare le fake news, e questa frase avremmo voluto scriverla anni fa. Di solito, infatti, quando si è trattato di fermare le fake news i social network hanno sempre giocato di reazione. Una cospirazione politica o una teoria del complotto sanitaria cominciava a diventare virale? I social network non se ne occupavano, o se ne occupavano svogliatamente, finché qualche giornalista non se ne accorgeva e faceva partire il circo dell’indignazione politica. Solo allora, e soltanto in alcuni casi, i social cominciavano a prendere provvedimenti. Con il coronavirus, invece, si sono mossi rapidamente e, appunto, prendendo l’iniziativa per primi.

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Quando si cercano informazioni a proposito del coronavirus su Facebook e Twitter appare come primo contenuto un avviso evidente in cui si raccomanda di visitare i siti ufficiali delle autorità sanitarie (per l’Italia è il ministero della Salute, per gli Stati Uniti è il Centers for Disease Control, e così via). Lo stesso vale per Google, che quando si cerca “coronavirus” mostra tutta una serie di box informativi sui siti istituzionali e su come lavarsi bene le mani, e poi prosegue con risultati selezionati da fonti d’informazione serie. Queste sembrano modifiche da ridere, ma in realtà sono una decisione piuttosto importante, specie per i due social: il cuore di Facebook e di Twitter sta nella personalizzazione del messaggio per ciascun utente, e il fatto che abbiano deciso di mettere un freno all’algoritmo per far vedere a tutti lo stesso messaggio di salvaguardia della salute pubblica è una questione importante.

  

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Tutte le piattaforme, poi, si sono mosse per contrastare con forza le fake news. Twitter ha annunciato che nelle ricerche sul coronavirus (comprese quelle con errori di battitura, tipo coronavairus) gli articoli autorevoli e verificati delle autorità sanitarie e delle testate giornalistiche saranno privilegiati. Ha anche detto che cancellerà senza pietà ogni forma di fake news, specie se coordinata in stile russo. Facebook ha fatto lo stesso, dicendo che le teorie del complotto e le bufale a tema coronavirus segnalate dalle autorità internazionali saranno cancellate senza appello. Il ceo Mark Zuckerberg ha fatto anche una mossa in più per favorire la diffusione di notizie veritiere, oltre che per contrastare quelle false: ha garantito all’Organizzazione mondiale della sanità crediti infiniti per la pubblicazione di messaggi pubblicitari sulla piattaforma, in maniera che l’Oms possa diffondere le sue comunicazioni con la massima estensione. Anche YouTube si sta muovendo bene: i video complottisti (che pure ci sono) non appaiono nei risultati di ricerca e sono molto poco visti. Ottima anche la decisione di Apple di bandire dal suo Store tutte le app a tema coronavirus che non siano state realizzate da ospedali o da autorità sanitarie. Poiché ormai ci si prepara a lunghi periodi di lavoro da casa in mezzo mondo, Google e Microsoft hanno offerto gratis per i prossimi mesi i loro strumenti a pagamento per il lavoro a distanza.

  

Rimangono alcune zone d’ombra come per esempio WhatsApp, dove le bufale circolano incontrollate – ma lo fanno malgrado Facebook, che possiede WhatsApp e che a causa dell’infrastruttura di sicurezza del sistema di chat non può giustamente censurarne i contenuti. Ma in generale, davanti all’emergenza sanitaria globale le piattaforme agiscono tempestivamente e si prendono certe responsabilità in un certo senso editoriali che finora avevano sempre rifiutato. Molti applausi, e meritati, ma c’è una domanda che non possiamo non porci: perché non l’hanno fatto prima, per esempio davanti al diffondersi di bufale antivacciniste, che è rimasto indisturbato per anni?

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