PUBBLICITÁ

Un alto dirigente di Facebook ammette che il social può decidere le elezioni

Eugenio Cau

Andrew Bosworth, da sempre dentro al cerchio magico di Mark Zuckerberg, ha scritto un post pieno di autoassoluzione

PUBBLICITÁ

Milano. Se c’è una cosa in cui Facebook è uguale al mondo fuori da Facebook è che nessuno si è mai ripreso dal 2016. L’anno di Donald Trump e della Brexit, l’anno in cui scoprimmo che la democrazia era fragile e che Facebook le stava scavando sotto le fondamenta. Andrew Bosworth, per tutti Boz, vicepresidente di Facebook che oggi si occupa di realtà virtuale ma che nel 2016 era a capo del team che si occupava della pubblicità (e dunque anche degli annunci politici), da sempre dentro al cerchio magico di Mark Zuckerberg, ha scritto qualche giorno fa un post molto lungo che mostra come, dentro a Facebook, l’ossessione per il 2016 non se n’è mai andata – e che, anzi, adesso che le elezioni americane del 2020 sono sempre più vicine quell’ossessione è pronta a scoppiare di nuovo.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Milano. Se c’è una cosa in cui Facebook è uguale al mondo fuori da Facebook è che nessuno si è mai ripreso dal 2016. L’anno di Donald Trump e della Brexit, l’anno in cui scoprimmo che la democrazia era fragile e che Facebook le stava scavando sotto le fondamenta. Andrew Bosworth, per tutti Boz, vicepresidente di Facebook che oggi si occupa di realtà virtuale ma che nel 2016 era a capo del team che si occupava della pubblicità (e dunque anche degli annunci politici), da sempre dentro al cerchio magico di Mark Zuckerberg, ha scritto qualche giorno fa un post molto lungo che mostra come, dentro a Facebook, l’ossessione per il 2016 non se n’è mai andata – e che, anzi, adesso che le elezioni americane del 2020 sono sempre più vicine quell’ossessione è pronta a scoppiare di nuovo.

PUBBLICITÁ

 

Il post di Boz era privato, pubblicato nel social network di Facebook riservato ai dipendenti, ma qualcuno l’ha mandato al New York Times, che ha pubblicato tutto. Il vicepresidente di Facebook parla di due argomenti. Uno: il ruolo del social network nell’elezione di Donald Trump nel 2016 e gli effetti di Facebook sulla democrazia e sulla società; due: cosa dovrebbe fare Facebook nelle elezioni del 2020. Andiamo con ordine.

 

PUBBLICITÁ

Uno. Sul ruolo di Facebook nel 2016, Boz scrive – e questa è la prima volta che un alto dirigente del social network arriva a questa ammissione: “Facebook è stato responsabile per l’elezione di Donald Trump nel 2016? Io penso che la risposta sia sì”. Il vicepresidente dell’azienda, che a suo tempo sovrintendeva uno dei settori più politici, dice tuttavia che la colpa non è di Cambridge Analytica (“venditori di fumo”), né dell’influenza esterna russa (“con 100 mila dollari di ads non ti compri un’elezione”) e nemmeno delle cosiddette camere dell’eco (Boz sostiene che Facebook sia molto più pluralista del resto di internet. Mah). Il punto, dice Boz, è che nel 2016 Trump condusse la miglior campagna di advertising della storia, e che Brad Parscale, che allora gestiva la strategia digital di Trump e che oggi gestisce l’intera campagna per la rielezione, è stato più bravo degli altri. Vero, senz’altro, ma Boz dimentica una questione importante: l’algoritmo di Facebook non è uno strumento neutrale. È studiato per favorire e amplificare i contenuti portatori di risentimento, di odio e di sensazionalismo, e se la campagna elettorale di Donald Trump sul social network è stata particolarmente efficace, lo è stata anche quella di Jair Bolsonaro in Brasile, di Rodrigo Duterte nelle Filippine, di Alternative für Deutschland in Germania, di Matteo Salvini in Italia. Boz dovrebbe unire i puntini, ma nel suo saggio breve sostiene invece che l’algoritmo non è altro che lo specchio dell’umanità. Facebook è come lo zucchero, scrive il suo vicepresidente, fa male, ma sono i singoli individui a doverne regolare il consumo. Bene, giusto, qui siamo favorevoli a concedere tutte le libertà del mondo, ma Facebook ha chiaramente un problema d’immagine se un alto dirigente del social network lo paragona a una sostanza che “può portare alla morte precoce” (Boz dixit).

 

Questo ci porta al punto due: il vicepresidente di Facebook postula che siccome l’algoritmo è innocente da ogni colpa, non c’è alcuna ragione per cambiare le pratiche del social network in vista delle elezioni americane del 2020. Per quanto lui stesso si definisca antitrumpiano, sostiene che Facebook non dovrebbe nemmeno fare fact checking delle affermazioni false dei politici. Al contrario, Boz mette in guardia dall’idea di usare in modo improprio il grande potere di Facebook che, dice lui stesso, può decidere l’esito di un’elezione (ormai siamo al punto che non è più un’enormità dire che un gruppo di dieci ingegneri nella Silicon Valley potrebbe decidere il prossimo presidente degli Stati Uniti, se soltanto lo volesse). Boz fa un paragone con la saga del “Signore degli Anelli”, ricordando come il personaggio di Galadriel (che è uno dei buoni e che Boz erroneamente scrive Galadrial) rifiuta di usare il celebre anello, perché anche se i suoi intenti sono giusti avere nelle mani troppo potere irrimediabilmente corrompe. Nella metafora l’anello è Facebook, e Boz sembra dimenticare che, alla fine del libro, viene distrutto nel fuoco.

PUBBLICITÁ