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I guerrieri del web

Ottavia Casagrande

Prima di Greta, di Olga Misik e delle sardine c’era Aaron Swartz. Il ragazzino che voleva cambiare internet e la nostra conoscenza

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Il XXI secolo sembra avere un’inclinazione speciale per i rivoluzionari adolescenti o poco più. Ovviamente, non si chiamano più rivoluzionari – termine vetusto che tradisce le proprie intrinseche debolezze: utopia e violenza, poco cool la prima, politically incorrect la seconda. Non rivoluzionari dunque, ma attivisti. Qualche anno prima di Greta, di Olga Misik e delle Sardine, c’era Aaron Swartz. Tutt’altra battaglia, ma narrazione simile, almeno fino al tragico epilogo. Riassunto delle puntate precedenti per chi non abbia dimestichezza con hacker, programmi open-source, il movimento open access, neutralità della rete e altre rivendicazioni dell’era digitale.

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Il XXI secolo sembra avere un’inclinazione speciale per i rivoluzionari adolescenti o poco più. Ovviamente, non si chiamano più rivoluzionari – termine vetusto che tradisce le proprie intrinseche debolezze: utopia e violenza, poco cool la prima, politically incorrect la seconda. Non rivoluzionari dunque, ma attivisti. Qualche anno prima di Greta, di Olga Misik e delle Sardine, c’era Aaron Swartz. Tutt’altra battaglia, ma narrazione simile, almeno fino al tragico epilogo. Riassunto delle puntate precedenti per chi non abbia dimestichezza con hacker, programmi open-source, il movimento open access, neutralità della rete e altre rivendicazioni dell’era digitale.

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Un ragazzo di 26 anni viene trovato morto nel suo appartamento di Brooklyn. E’ il milionario fondatore di Reddit

Nel gennaio del 2011 un’ombra, felpa scura e casco della bici a tracolla, s’intrufola in uno sgabuzzino del MIT, il Massachusetts Institute of Technology, uno dei luoghi più all’avanguardia del pianeta. Al MIT non ci si aggira per i corridoi come nelle comuni università, ma tra reattori nucleari, acceleratori di particelle, laboratori d’intelligenza artificiale e di scienza informatica. Tecnologia, innovazione e sperimentazione sono le parole d’ordine. Molte delle novità che hanno plasmato il nostro passato recente, stanno plasmando il nostro presente e presumibilmente plasmeranno il nostro futuro provengono da qui. Qui, negli anni Sessanta, nasce la cultura hacker. Hacker che agli albori non sono altro che una comunità di programmatori un po’ matti, visionari, idealisti e dotati di – udite, udite – un’etica. Oltre a essere dei maghi dei codici informatici, credono fermamente che computer e software possano creare un mondo migliore, perché non esiste problema che un programma non possa risolvere. A patto che l’accesso al sapere rimanga libero e aperto a tutti. Da qui le prime due, fondamentali, regole dell’etica hacker. Uno: l’accesso ai computer e a qualunque strumento che possa insegnarti qualcosa sul modo in cui funziona il mondo deve essere totale e illimitato. Due: tutte le informazioni devono essere gratuite. Tenetele a mente: saranno lo snodo di questa storia.

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11 gennaio 2013: un ragazzo di 26 anni viene trovato morto nel suo appartamento di Brooklyn. Si tratta di suicidio. Quel ragazzo è Aaron Swartz. Gli ultimi due anni della sua vita li ha passati a combattere un’estenuante battaglia legale contro gli Stati Uniti. Un incubo kafkiano. Accusato di frode informatica, rischiava fino a 35 anni di reclusione e un milione di dollari di multa. Quell’ombra furtiva penetrata nello sgabuzzino del MIT era proprio lui, Aaron.

 

Gli episodi più emblematici della sua infanzia da bambino prodigio sono ormai leggenda. Da autodidatta, impara a leggere all’età di 3 anni. Su internet circolano video in cui Aaron, un bambino paffutello e sorridente di 3 o 4 anni, legge spedito come un treno. A 10 inventa InfoBase, una sorta di Wikipedia prima di Wikipedia, con cui vince un premio scolastico come migliore applicazione web dell’anno, ma a usarla sono solo i suoi compagni di classe. Del resto, è ancora alle medie. A 14 anni regala al mondo RSS 1.0, un protocollo operativo per raccogliere e catalogare notizie su internet. A 20 anni diventa milionario vendendo a Wired del gruppo Condé-Nast un sito di informazione diventato in breve tempo molto popolare, Reddit.com. Come c’era da aspettarsi, il passaggio dall’ambiente “startupparo” sempre in bilico sull’orlo del caos, a quello aziendale di una multinazionale dell’informazione non gli va a genio. Nel giro di qualche mese non si presenta più in ufficio. Ed è il terzo dropout della sua breve esistenza. Aaron è refrattario a qualsiasi autorità, come tutti i nerd brillanti e ribelli del resto. Ancora bambino, nel suo blog paragona la scuola a una dittatura e abbandona gli studi. Primo dropout. Poi si iscrive a Stanford, dove naturalmente non ha niente da imparare e abbandona ancora una volta gli studi. Secondo dropout. E’ ai confini dell’asocialità. Ma non del tutto: “Aveva degli amici”, assicurano. Soprattutto aveva degli ideali.

 

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Finalmente incrocia persone e ambiente propizi affinché i semi del suo talento e del suo idealismo possano germogliare, e trova il suo posto nel mondo. Il primo incontro fondamentale è con Lawrence Lessing, con il quale crea Creative Commons, la piattaforma che ha rivoluzionato il diritto d’autore, permettendo a un concetto che molti davano per spacciato – il copyright – di tenere il passo con le innovazioni tecnologiche. Nelle foto di quegli anni sorride impacciato: un adolescente grassottello, insaccato in t-shirt troppo grandi per lui, in posa accanto a guru del web molto più anziani.

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Sa di essere speciale. Parlare la lingua dei computer nei primi decenni degli anni 2000 equivale ad avere i poteri, come i supereroi

Poi legge Noam Chomsky e all’improvviso progettare software come nessuno, essere l’enfant prodige dell’imprenditoria tech, diventando en passant milionario, non gli basta più. Diventa attivista. Aaron sa di essere speciale. E’ consapevole che parlare la lingua dei computer nei primi decenni degli anni 2000 equivale a possedere poteri magici. Come i super eroi. E cosa fanno i supereroi? Salvano il mondo.

 

Come i processori che conosce così bene, Aaron fa mille cose contemporaneamente: mille progetti, mille battaglie. Concepisce Open library: una pagina web per ogni libro mai scritto. Scrive il Guerrilla open access manifesto, la bibbia della disobbedienza civile ai tempi di internet. Lancia la campagna Pacer, ovvero come aggirare la burocrazia e il sistema per rendere accessibili online i documenti della giustizia federale – per altro sulla carta liberamente consultabili, ma di fatto impossibili da ottenere – e farla franca. Aaron scrive due righe di codice e scarica in un pomeriggio 20 milioni di pagine, che mette online gratuitamente. Da quel giorno l’Fbi comincia a tenerlo d’occhio. E poi Securedrop, un programma di scambio file sicuro per giornalisti d’inchiesta, whistleblowers e media company. O ancora VictoryKit, una app di supporto per campagne politiche online. Infine la sua grande vittoria, tanto più straordinaria perché del tutto inaspettata: la battaglia contro i decreti Stop Online Piracy Act e Protect IP Act. Il Sopa e Pipa erano due disegni di legge che miravano a dare un giro di vite alla pirateria e alle violazioni di copyright online, ma che mettevano a rischio la libertà di parola e informazione. Oltre al sostegno dei media tradizionali godevano dell’appoggio della maggioranza del Congresso e del Senato degli Stati Uniti. Aaron viene coinvolto nella campagna per fermarne l’approvazione. Implementa una piattaforma, Demand Progress, e lancia una protesta online. Nel giro di qualche giorno il Congresso e la Casa Bianca sono letteralmente sommersi da messaggi di utenti e migliaia sono le firme della petizione in rete. La politica è presa alla sprovvista. La Casa Bianca ritira il proprio sostegno. Poi succede l’impensabile: Wikipedia, Google, Reddit e migliaia di altri siti coordinano il proprio oscuramento in segno di dissenso. In un lampo, la petizione raggiunge sette milioni di firme. Una manifestazione oceanica è convocata a New York. I decreti vengono bloccati. La prima, eclatante vittoria politica del popolo del web.

 

La sua battaglia è la libera circolazione del sapere. In linea con l’illuminismo, sa che la libertà passa attraverso la conoscenza

Ormai l’avrete capito, la battaglia di Aaron è la libera circolazione del sapere. In linea diretta con l’illuminismo, Aaron sa che la libertà passa attraverso la conoscenza. Ora che la tecnologia la rende accessibile a tutti, è un crimine ostinarsi a considerarla proprietà di pochi privilegiati: gli studenti delle migliori università del primo mondo o i dipendenti di Google. Dal suo Guerrilla open access manifesto: “L’informazione è potere. Ma come ogni forma di potere, c’è chi vuole tenerlo per sé. L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in libri e riviste, viene digitalizzato e tenuto sottochiave da una manciata di società private. Vuoi leggere le riviste che pubblicano i più importanti risultati scientifici? Ti tocca pagare somme enormi a editori come Reed Elsevier”.

 

Nell’èra digitale, è difficile tracciare una linea netta tra crimini informatici gravi e meno gravi. Con un click si possono fare danni enormi. Basti pensare che il Computer Fraud and Abuse Act, il quadro giuridico usato per incriminare Aaron, è stato varato nel 1986, sull’onda emotiva del film War Games, in cui un giovane hacker scatena nientemeno che una crisi nucleare dal terminale della sua cameretta. Aaron è in bilico su quella labile linea di confine. Ancora dal suo Manifesto: “Chi è stato tagliato fuori, non starà a guardare. S’insinuerà nelle falle, scavalcherà le barriere, libererà le informazioni sequestrate dagli editori e le spartirà con gli amici”. E’ il luglio del 2008, Aaron ha appena scritto il suo destino. E’ pronto a varcare quella linea. Di fatto, sta firmando la sua condanna. 

 

La giustizia federale pretende una sentenza esemplare che serva da deterrente: i capi d’imputazione da quattro salgono a tredici

Gennaio 2011, Aaron mette in pratica il suo manifesto. Scarica oltre quattro milioni di articoli scientifici dal sito di Jstor, una libreria accademica digitale a pagamento. Una telecamera lo inchioda. Il 6 gennaio, la polizia del Campus, l’Fbi e un agente dei servizi segreti lo arrestano. Inizia una spirale giudiziaria che, oltre a prosciugargli le energie, gli prosciuga il conto in banca. Persino Jstor prende coscienza della sproporzione tra presunto reato e pena e ritira la denuncia. La giustizia federale tuttavia pretende una sentenza esemplare che serva da deterrente: i capi d’imputazione da quattro salgono a tredici. Il pubblico ministero offre una transazione, a patto che Aaron si dichiari colpevole, ma un’ammissione di colpa significherebbe rinunciare al diritto di voto e, peggio ancora, a una carriera politica. Aaron rifiuta. Conta sull’appoggio del Mit, culla, come abbiamo visto, del libero accesso al sapere, ma il Mit lo lascia solo. Aaron, non regge la tensione e si uccide. O forse – in un lampo di lucida follia, di totale dedizione alla causa – decide di diventare il primo martire dell’èra digitale.

 

Le battaglie di Aaron possono sembrare astruse e incomprensibili a noi profani digitali, che non mastichiamo il linguaggio informatico, che nei computer e nel web vediamo un mero strumento di lavoro o di gingillo e non un apriscatole per scoperchiare il mondo, una leva per ribaltarlo. Ma i diritti che stavano a cuore ad Aaron ci riguardano tutti e più da vicino di quanto non riusciamo a sospettare. Un internet libero e democratico è premessa imprescindibile di un mondo democratico e libero. Sì, Aaron aveva degli ideali. E sì, aveva degli amici. Almeno a giudicare dai tanti ricordi, dalle parole commosse e dalle lacrime dei suoi amici e collaboratori intervistati nel documentario The internet’s own boy a lui dedicato (5 milioni di visualizzazioni solo sul canale YouTube di Anonymous, ma naturalmente lo trovate gratuitamente online su molti siti). O dagli innumerevoli messaggi di cordoglio che hanno invaso il web alla notizia della sua morte. O dai discorsi accorati di attivisti, politici, tech-geeks, parenti e amici alla sua veglia. O dalle centinaia di hackathons – una specie di happening a metà strada tra la festa e il think tank – a lui intitolati e sorti un po’ ovunque per il globo.

 

Al momento del suo arresto imperversava la primavera araba. Ora i movimenti nati dal basso e cresciuti grazie a internet sono la normalità – è per questo che sempre più spesso i regimi tentano di bloccare internet. Tra chi avrebbe protestato al loro fianco di sicuro c’è anche Aaron Swartz.

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