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L'intelligenza artificiale sta cambiando l'uomo, così come la nostra morale

Fabiana Giacomotti

La relazione fra uomo e macchina, fra autodeterminazione e interesse generale, l’istinto di potenza alimentato dall’opportunità e dall’illusione di avere tutto il mondo a portata di un clic

Milano. “Dite al vostro governo che le vaccinazioni non possono essere argomento di discussione”. Nicholas Negroponte, presidente emerito del Mit Media Lab, vate della rivoluzione digitale e dei rapporti fra uomo e informatica, interrompe per un secondo il discorso programmatico del nuovo appuntamento organizzato dalla Fondazione Prada sul tema del futuro sostenibile, per quest’anno dedicato per l’appunto all’universo dei bit. Ha appena portato l’esempio della digitalizzazione spontanea di un gruppo di bambini in un villaggio etiope lontano da ogni forma di alfabetizzazione (“tre minuti per capire come accendere il computer, meno di due mesi per imparare a cantare canzoni in inglese, assolutamente da soli”); il collegamento con i rischi di una scarsa copertura di gregge deve essergli venuta per contiguità.

 

Me lo ripete anche alla pausa caffè dove lo raggiungo per argomentare meglio la questione: “Davvero c’è un governo che prende in considerazione l’idea di dar voce a chi si oppone ai vaccini?”, osserva. “La copertura vaccinale, una conquista che vorremmo fosse raggiunta da tutto il mondo, è un tema sovranazionale, che esula dalla volontà del singolo”. In una scuola di ispirazione religiosa e fortemente no vax del North Carolina, l’Asheville Waldorf School, è appena scoppiata una violenta epidemia di varicella, mentre in Italia, a Bari, si combatte da giorni con l’analogo propagarsi di una malattia esantematica ugualmente pericolosa, il morbillo. Per Negroponte, che pure nel campo dell’informatica e dell’innovazione ritiene l’ultimo utente – il cosiddetto utilizzatore finale – un inventore potente almeno quanto chi ha sviluppato quel servizio o quell’applicazione in origine (“quello che impone il mercato non è necessariamente il driver del futuro”), non è invece affatto aperto alla discussione su quelli che reputa temi fondanti della società civile, e cioè l’accesso alla sanità e all’educazione. La relazione fra uomo e macchina, fra autodeterminazione e interesse generale, l’istinto di potenza alimentato dall’opportunità e dall’illusione di avere tutto il mondo a portata di un clic – dunque di poterlo anche modificare a proprio piacimento, a prescindere dalle proprie reali competenze (o dall’annullamento delle stesse, uno vale uno) – è non a caso al centro di un dibattito che va ben oltre questo summit. Qui tutti si dicono d’accordo sulla necessità di un approccio umanistico alle intelligenze artificiali, e il tema interessa analisti e politologi: la tecnologia, oltre alle facilitazioni nella vita di tutti i giorni, sta mutando la percezione che l’uomo ha di sé e di quelli che un tempo erano punti di riferimento precisi: famiglia, amicizia, chiesa, stato.

 

Per Rachel Coldicutt, ceo del think tank londinese Doteveryone, “il senso di magico”, l’apparente potere esoterico offerto perfino da uno smartphone, sarebbe una delle cause della progressiva disaffezione del mondo occidentale nei confronti della religione: ci si sente padroni di tutto, in grado di indirizzare scelte e destini estranei al proprio. Proprio per questo, come osserva Jon Iwata, executive della Yale School of Management, i governi, prima ancora delle multinazionali tecnologiche, per i quali l’interesse pubblico è ovviamente meno rilevante rispetto a quello commerciale (“e in questo l’Europa è certamente più avanzata rispetto all’America”), devono prendere in considerazione questioni fondamentali per il mondo digitale come, appunto, l’etica. Arriverà presto il momento in cui la gente vorrà sapere almeno il background di chi ha educato i robot con cui interagisce ogni giorno. Un pericolo che aveva già evidenziato, quasi tre secoli fa, la prima formulatrice del concetto di intelligenza artificiale, la matematica Ada Lovelace, figlia di Lord Byron. L’errore è cercare di competere con gli algoritmi su un tema come la morale. O, peggio, di affidarla a loro.

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