PUBBLICITÁ

Google ci insegna a scrivere, Facebook ad amare. Ecco il paternalismo tech

Eugenio Cau

Vecchi e nuovi strumenti dei falsi libertari

PUBBLICITÁ

Roma. Se avete scritto un’email negli ultimi giorni forse lo avrete notato: Gmail, il servizio di posta elettronica di Google, ha cominciato a dirvi come scrivere. È una funzione attivata per tutti da pochi giorni, che ha iniziato a insinuarsi nelle caselle di posta questa primavera, e per ora funziona solo in inglese. In pratica, se state scrivendo una mail a un amico e cominciate una frase con “Ho…”, come per dire: “Ho portato a spasso il cane”, Gmail decide che è meglio completare la frase in modo diverso, e vi consiglia: “How are you?”. Questo strumento di completamento intelligente (si chiama “smart compose”) funziona soltanto per gli utenti che hanno impostato la lingua inglese, e quindi in Italia se ne sono accorti in pochi, ma nei paesi anglofoni non si fa che parlarne: alcuni la considerano una gran comodità, e un ottimo modo per evitare brutte figure.

 

Google consiglia frasi sempre positive e ben educate, seguendo le sue indicazioni è impossibile lasciarsi andare a uno scatto d’ira e scrivere risposte piccate di cui ci si pente immediatamente dopo aver schiacciato il tasto invio. Altri temono che sia l’inizio di una mutazione del linguaggio: a forza di farci dire come scrivere, arriveremo a parlare in googlese, con frasi standard e sempre cortesi – almeno eviteremo gli strafalcioni grammaticali.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Scrivere non è la prima cosa che un’azienda tecnologica della Silicon Valley vuole insegnarci a fare. Facebook, in un certo senso, vuole insegnarci a gestire le relazioni umane. Ci ricorda i compleanni, ci manda rimbrotti delicati quando ci dimentichiamo di parlare con un amico per molto tempo, ci consiglia di interessarci a cosa fanno gli altri. Dal punto di vista tecnico, questi consigli si chiamano “nudge”, spintarelle comportamentali, e sono stati pensati da team di psicologi esperti per mantenere gli utenti incollati a Facebook. Sono parte di una strategia precisa, ma sono anche il sintomo di un contesto ideologico più ampio.

 

La grande industria tech americana è da sempre considerata sinonimo di libertà e indipendenza, la storia fondativa della Silicon Valley è pervasa di miti hippie, di grandi sperimentatori di droghe psichedeliche, di libertari radicali. In realtà, l’ideologia prevalente nel mondo tecnologico è il paternalismo – paternalismo del peggior tipo, quello condito dell’arroganza di chi sa cosa è meglio per te, e ti costringe ad adattarti.

 

Pensate per esempio all’“antennagate” di Apple. E’ una vecchia storia, risale al 2010, Steve Jobs era ancora vivo. Era appena stato presentato l’iPhone 4, un apparecchio straordinario, e alcuni utenti si accorsero che c’era un problema: l’antenna prendeva male la linea telefonica. Il problema era così diffuso che per Apple fu un piccolo scandalo (fu successivamente risolto), ma quando alcuni utenti preoccupati si rivolsero a Jobs, lui disse: è colpa vostra, tenete in mano il telefono nella maniera sbagliata e coprite l’antenna con i palmi. Insomma: se Apple aveva disegnato un telefono con le antenne esattamente dove di solito si poggiano le mani, il problema non era del telefono: Steve Jobs ci avrebbe insegnato a tenere in mano il telefono come si deve, lui sa come si deve fare e cosa è meglio per gli utenti.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Allo stesso modo, capita spesso che Google ritiri un prodotto magari poco popolare, ma molto amato dagli utenti. Successe anni fa con Google Reader, succederà a breve con Inbox, una versione di Gmail alternativa (che non ti dice cosa scrivere). È comprensibile che alcuni prodotti siano ritirati, mantenerli è molto costoso. Ma la giustificazione di Google è inevitabilmente paternalista: ritiriamo Inbox perché sappiamo cosa vogliono gli utenti meglio di loro stessi, e abbiamo deciso che loro non vogliono più usare Inbox.

 

PUBBLICITÁ

Non cominciamo nemmeno a parlare del trattamento dei dati personali: ci sono voluti l’Unione europea e le sue regole draconiane per costringere Google, Facebook e gli altri a trattare gli utenti come persone adulte, capaci di decidere da sole quali dati rendere accessibili e quali no. Il mondo della tecnologia è tutto così: ci prendono per bambini, e spesso noi li lasciamo fare.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ