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Facebook ammette di essere "corrosivo per la democrazia". Le mazzate di Murdoch

Eugenio Cau

Il cambiamento di tono della compagnia simbolo della hubris della Silicon Valley è un tentativo di riconquistare la fiducia non tanto degli utenti ma dell’establishment e dei legislatori

Roma. Facebook è un pericolo per la democrazia. Non lo dice l’Economist, che al tema ha già dedicato due copertine in pochi mesi (l’ultima è quella di questa settimana). Non lo dice il Partito democratico americano, ancora scottato dalla sconfitta alle elezioni del 2016 avvenuta con un aiutino (impossibile dire quanto influente) dei russi proprio sui social media. Lo dice Facebook. In un post pubblicato lunedì con il titolo: “Quali effetti hanno i social media sulla democrazia?”, Samidh Chakrabarti, product manager per il Civic engagement (vale a dire: la persona dentro a Facebook che si occupa di come Facebook influisce sulla società), scrive: Facebook, quando è al suo peggio, “consente di diffondere misinformazione e corrode la democrazia”.       

Appena un anno e qualche mese fa, nel novembre del 2016, Mark Zuckerberg, ceo di Facebook, diceva sprezzante che l’idea che le fake news su Facebook avessero influenzato le elezioni americane era “pura follia”. Qualche mese dopo Zuck ha ritrattato, e ha detto che rimpiange di aver sminuito il problema, ma il nuovo post di Facebook è una totale, assoluta smentita del messaggio che Facebook ha voluto veicolare in questi anni quando si parla di politica: passare in poco più di un anno da “nessuna interferenza” a “corrosione della democrazia” è notevole.

    

    

Ovviamente il post di Chakrabarti dà ampio spazio alle volte in cui Facebook è al suo meglio, e in cui le sue funzioni di connessione ed engagement sono state usate con profitto a favore del sistema democratico. Ma dal rischio di interferenze straniere alla diffusione di notizie false che troppo facilmente diventano virali alla creazione di “camere dell’eco” dove fermentano i processi di polarizzazione, il dirigente di Facebook prende in esame tutte le accuse fatte al social media in questi ultimi uno-due anni e ammette che sì, il problema è evidente, Facebook è uno strumento potente che può diventare pericoloso nelle mani sbagliate. La piattaforma ospita perfino un intervento di Cass Sunstein, il professore di Harvard che negli ultimi tempi è stato uno dei principali critici di come i social media corrompono il nostro processo di conoscenza.

    

L’autocritica di Facebook (forse la più pesante) è l’ultima di una serie. Abbiamo già citato i post di Zuckerberg, a cui vanno aggiunti, a livello più istituzionale, molti articoli in cui svariati dirigenti come Chakrabarti fanno mea culpa a nome dell’azienda su questo o quell’aspetto controverso. C’è il post sulla dipendenza che i social media generano nei minori, quello su come passare troppo tempo su Facebook ci renda miserabili (anche qui c’è stata una discreta ammissione da parte del social), quelli che fanno il bilancio su hate speech e politiche anti terrorismo. Tutti i post sono contenuti in un blog apposito chiamato “Hard questions”, domande difficili.

   

 

Il cambiamento di tono di Facebook in questi pochi mesi è straordinario. Una delle compagnie simbolo della hubris della Silicon Valley ha collezionato una prova di umiltà via l’altra, ed evidentemente sta cercando di riconquistare la fiducia non tanto degli utenti – che non accennano a diminuire, almeno per ora – ma dell’establishment e dei legislatori, che in molti casi guardano al social media con diffidenza e progettano di contrastare la sua influenza. L’ultimo a esprimersi in questo senso è stato Rupert Murdoch, che ha detto: se Facebook adesso inizia a tenere all’affidabilità e all’autorevolezza, dopo anni in cui ha propinato agli utenti le news attraverso un algoritmo “strutturalmente inaffidabile”, è bene che queste news autorevoli inizi a pagarle. E’ ora di riconoscere il “valore sociale del giornalismo professionale” e di retribuirlo come sarebbe giusto, visto che le soluzioni proposte finora si sono rivelate “inadeguate”. Quella di Murdoch è solo una delle tante pessime opinioni che l’establishment si è fatto su Facebook in quest’ultimo anno. Zuck vuole rimediare, e inizia chiedendo scusa.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.