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Una Google europea contro le fake news

Avere un campione tech continentale può aiutare l’Europa e salvarci dalle bufale. Un report ottimista

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Roma. Se fosse arrivato il momento di creare una Google europea? Finora è sempre parso un sogno impossibile. Nel mondo della tecnologia e dell’innovazione più avanzata c’è una massima che vale da decenni: l’Europa non vale un fico. Quando si parla di hi-tech, tutti guardano esclusivamente alla Silicon Valley o all’Asia. Fate un elenco mentale delle compagnie tecnologiche che conoscete: Google, Facebook, Apple, Linkedin; se avete un gusto esotico possiamo aggiungere anche la cinese Alibaba o la giapponese Sony. Europa non pervenuta. E’ un controsenso celebre: l’Unione europea (parliamo in termini di Ue, è più facile) vale oltre il 20 per cento dell’economia mondiale, è un gigante, ma quando si parla di innovazione tecnologica si trasforma in un nano.

 

Frammentazione, regolamentazione eccessiva, scarsa propensione a osare: i governanti europei si sono ossessionati per decenni sul perché siamo così indietro nell’hi-tech, sul perché, in pratica, sembra impossibile che il prossimo Google nasca a Berlino o – questa proprio è fantascienza – a Roma. E se non fosse più del tutto vero? Un nuovo report pubblicato dalla società di venture capital londinese Atomico e rilanciato ieri da Reuters mostra un ottimismo insolito nei confronti della scena europea dell’innovazione, e il capo ricercatore dell’azienda arriva a scrivere una cosa che sembrava impensabile fino a poco tempo fa: “La possibilità che la prossima compagnia capace di cambiare l’intera industria venga dall’Europa e diventi una delle società di maggior valore al mondo non è mai stata così alta”. Questo farebbe bene all’economia e al morale di tutto il continente, ma non solo: una Google e una Facebook europee potrebbero salvarci dal disastro in corso sulla misinformazione e sulle fake news. 

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Facciamo un rapido resoconto del perché gli analisti di Atomico (ma non solo loro, ormai la voce gira tra molti imprenditori) sono ottimisti sulla possibilità di creare uno o più campioni tech continentali. Anzitutto, non ci sono mai stati così tanti soldi a disposizione per finanziare i progetti innovativi: nel 2017 il capitale investito in imprese tech in Europa dovrebbe raggiungere i 19,1 miliardi di dollari, in aumento del 33 per cento dal 2016. Questo significa fondi di venture capital più grossi: la media di ciascuno è intorno ai 58 milioni di euro. Siamo ancora lontanissimi dalle cifre dei venture americani, ma ci avviciniamo. Inoltre, grazie ad alcune circostanze favorevoli (la presenza di realtà di eccellenza come la francese Ecole 42 raccontata sul Foglio di ieri, da importare anche in Italia, e l’apertura di sedi europee dei colossi della Silicon Valley) il pool di talenti hi-tech ha ormai dimensioni importanti. Gli sviluppatori professionisti, dice il report, sono 5,5 milioni in Europa e 4,4 milioni negli Stati Uniti, anche se il peso specifico del talento è differente: la Silicon Valley (e la Cina) continuano ad accaparrarsi i migliori. Gli informatici in Europa sono più a buon mercato di quelli della Silicon Valley, e questo è un vantaggio per le aziende, ma l’Europa deve lavorare per tenersi i più bravi, come ha ricordato Neil Rimer sul Financial Times questa settimana: “Come facciamo a creare un gigante tech europeo? Dobbiamo concentrarci su una cosa sola: talento, talento, talento”.

 

 

Ci sono ancora problemi, per esempio troppa regolamentazione conservativa a livello comunitario – lo vediamo in questi giorni con le polemiche sul glifosato. Ci sono anche enormi differenze tra paesi, con la Germania avantissimo nell’innovazione e altri (tra cui l’Italia) molto indietro. Ma le speranze non sono mai state così alte, e le ragioni per essere ottimisti sono moltissime. Costruire un dominio tecnologico europeo è possibile e, dicevamo, ci salverebbe perfino dalle fake news. Non è uno scherzo.

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La ragione per cui oggi le democrazie occidentali affondano nella misinformazione è perché l’informazione online è gestita dal monopolio della triade Google, Facebook, Twitter. Se tutte le pecorelle sono nello stesso recinto, il troll russo ha gioco facile a mangiarsele. Ma immaginate un vero regime di concorrenza, in cui i social network e i servizi della rete sono tanti e vari, e in cui finalmente può iniziare il gioco al rialzo quando si tratta di offrire agli utenti più protezione e più privacy. Una Google europea cambierebbe le regole, è ora di trovarci il nostro campione.

 

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