ciclismo

Lotte Kopecky nelle strade dei giorni disorientati

Giovanni Battistuzzi

La ciclista belga alla Danilith Nokere Koerse non ci doveva essere. Ha deciso di correrla lo stesso, forse per sfuggire al dolore della morte del fratello, forse perché la bici è la migliore cura ai dolori dell'animo. Ha vinto

La Danilith Nokere Koerse è una corsa ciclistica che è una gincana, uno sballottamento campestre destrasinistrasinistradestra senza soluzione di continuità, per stradine di campagna, tra asfalto e pavé. È un perdersi in pochi chilometri quadrati sopra Oudenaarde, Fiandre, dove non sono le salite, i metri di dislivello, a fare i distacchi, ma il disorientamento e lo smarrimento, che si può trasformare in vertigine. Fossero in nave si chiamerebbe mal di mare, ma i corridori pedalano una bicicletta e il mal di bici non esiste.

  

La Danilith Nokere Koerse assomiglia a certi giorni che la vita ci mette davanti, giorni disorientati e smarriti, nei quali è difficile solo pensare di poter seguire una via retta e si inizia a inseguire lo sballottamento mentale destrasinistrasinistradestra nel tentativo di venire a capo di pensieri ai quali è impossibile venirne a capo, perché avvolgenti e totalitari. Pensieri di dolore, dolore che moltiplica i pensieri, l’impossibilità di fuggire da tutto questo perché, in qualche modo, tutto questo infausto disfacimento ha una sua morbidezza, un suo calore confortevole, divoratore e infame, ma a tratti accogliente. Verrebbe voglia di non fare niente, di assistere inermi agli eventi. Tanto qualcosa accadrà. E invece serve scattare, fuggire, andarsene, magari affrontare fallimenti parziali, riprovarci ancora.

   

Lotte Kopecky al via della Danilith Nokere Koerse doveva non esserci, poteva non esserci, c’è voluta stare. Perché aveva bisogno di fuggire, trovare un filo da seguire per uscire dal labirinto nero nel quale era caduta nel fine settimana precedente. Aveva bisogno di un filo da seguire e andava benissimo anche quello intricato e sballottato della Danilith Nokere Koerse, anzi andava ancor meglio. Perché una corsa come la Danilith Nokere Koerse la vince di solito chi è la più veloce. Oppure chi vuole vincerla più degli altri: tipo Amy Pieters nel 2021.

 

E Lotte Kopecky sapeva che questa corsa la doveva vincere e da sola, senza nessuno attorno, perché il dolore è un fatto privato, ha bisogno di solitudine, di nessuno attorno. Suo fratello era morto pochi giorni prima. Lei aveva sospeso tutto, impegni, allenamenti, piani futuri, giorni in pausa, sospesi in un senso di vuoto che sarebbe stato impossibile da immaginare. Poi ha vinto la bici, la forza che attrae a lei, la consapevolezza che pedalando, chissà come, ciò che sembra senza senso un senso lo trova, o quantomeno una soluzione, un rattoppo.

  

Lotte Kopecky su una bici ha iniziato a scappare dal gruppo a settanta chilometri dall’arrivo. Scappava dalle altre per scappare dal vuoto, dalla tristezza. Lotte Kopecky è fuggita definitivamente a sette chilometri dall’arrivo, è rimasta sola, ha tirato dritto verso il traguardo. Lotte Kopecky ha vinto la Danilith Nokere Koerse senza un sorriso, senza indicare il cielo, tirando su con il naso, trattenendo le lacrime. “È stata una giornata emotivamente difficile”, ha detto. “Credo che oggi abbiamo corso in due”.