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Lo spunto

Rummenigge spiega in due parole perché la Serie A arranca: mancano gli stadi di proprietà

Manuel Orazi

L'ex giocatore dell'Inter ha avuto la capacità di dire una verità semplice ma spesso misconosciuta: "Fino a quando gli impianti saranno dei comuni le cose non potranno cambiare". L'esempio della Germania e la opportunità che potrebbero arrivare dagli Europei 2032

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Fenomenale l’intervista di Karl-Heinz Rummenigge concessa al Corriere dello Sport. Fra molte questioni spinose sul tavolo che lo riguardano come membro del comitato esecutivo dell’Uefa (vedi gli scandali su Juventus, Barcellona, Manchester City) e qualche delizioso amarcord sugli anni trascorsi all’Inter, ne è emersa chiaramente la sua capacità manageriale, non a caso nel ventennio della sua gestione del Bayern Monaco il giro di affari è passato da 176 a 679 milioni di euro. A proposito dell’appannamento della serie A rispetto ai gloriosi anni ’80 e ‘90, Kalle enuncia una verità che tutti conoscono ma che, come nel caso della Bolkenstein, in Italia procrastiniamo sconsideratamente: “Fino a quando gli stadi saranno di proprietà dei comuni le cose non potranno cambiare. In Germania eravamo messi come voi, il Mondiale 2006 ci permise di superare questo ostacolo e abbiamo costruito impianti bellissimi per le famiglie. L’organizzazione degli Europei 2032 potrebbe servire all’Italia per seguire il nostro esempio, io spero che vi vengano assegnati”.

 

Ecco spiegato in due parole perché la serie A arranca dietro a Bundesliga, Liga e l’inarrivabile Premier Leauge. Il suo Allianz Arena di Monaco fra l’altro è stato progettato da uno dei migliori studi di architettura del mondo, Herzog & de Meuron di Basilea, diventando subito un landmark cittadino, ribattezzato Schlauchboot, gommone, per via della sua forma rigonfia. Da noi gli stadi di proprietà sono solo quattro: quello della Juventus del 2011 che dal 2017 si chiama Allianz pure lui, ha sostituito il vecchio Delle Alpi; quello dell’Udinese del 2013, dal 2016 Dacia Arena, ha sostituito il vecchio Friuli; il Mapei stadium del Sassuolo del 2015 è un ammodernamento del Mirabello di Reggio Emilia e da ultimo il Gewiss stadium dell’Atalanta ha sostituito il comunale di Bergamo nel 2017 – ci sarebbe anche la PSC arena del Frosinone che però è in usufrutto dal comune.

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Più le città sono grandi più i problemi per gli stadi di proprietà crescono: proprio oggi è stato comunicato che il Viola Park, progettato da Archea a Bagno a Ripoli, forse non sarà pronto nemmeno per l’estate, tanto che è a rischio il ritiro estivo della Fiorentina. Durante la visita col ministro Abodi, il presidente Rocco Commisso era sbottato “se mi avessero lasciato fare lo stadio, a quest’ora sarebbe praticamente finito. Senza i ricavi più alti non si possono prendere i buoni giocatori”. L’anno scorso in una scoppiettante intervista al Financial Times aveva candidamente affermato che se a Londra hanno demolito lo storico Wembley del 1923 per rifarlo interamente nel 2007, non vedeva perché non si potesse fare lo stesso con l’Artemio Franchi. I grandi problemi infatti sono quelli di Firenze, dove lo stadio è vincolato perché una delle prime opere di Pier Luigi Nervi del 1931 e in ogni caso verrà alterato dal nuovo intervento affidato dal comune ad Arup e David Hirsch. Se a Napoli De Laurentis ha litigato per tutti i due mandati del sindaco De Magistris sulla ristrutturazione del San Paolo-Maradona, la questione si trascina da decenni anche a Roma, ma il nodo più grande forse è quello di San Siro che Milan e Inter intendono demolire e rifare più piccolo: su di loro pende la spada di Damocle del vincolo che il sottosegretario Vittorio Sgarbi vuol far scattare l’anno prossimo.

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