Il Foglio sportivo

Tornano le coppe europee e la Champions League potrebbe stupirci

Giuseppe Pastore

Arsenal e Barcellona, le migliori squadre del campionato inglese e di quello spagnolo, sono già fuori. Le altre grandi faticano. E se fosse l’anno del Napoli?

Se a detta di tutti questa è una stagione anomala, perché la Champions League dovrebbe fare eccezione? Per esempio: in un’annata in cui due delle tre squadre migliori d’Europa – l’Arsenal e il Barcellona, dominatori dei rispettivi campionati – si giocheranno l’Europa League, perché ad alzare la Coppa non potrebbe essere la terza, cioè il super-Napoli di Luciano Spalletti? Come il Mondiale di calcio, ogni volta la Champions sfida il naturale afflato di novità che soffia in tutto il movimento europeo, e vince sempre: le ultime dieci coppe sono state alzate da squadre che avevano già trionfato in passato, e l’unica “prima volta” dal 1998 a oggi è quella del Chelsea (2012). Nonostante le spese a dieci zeri il Paris Saint-Germain sta ancora aspettando così come il City, travolto da una bufera giudiziaria di cui si fatica ancora a percepire le proporzioni. Proprio la banda Guardiola – attardata in Premier League e attraversata da dubbi persino sulle difficoltà di integrazione del gigante Haaland (31 gol stagionali) nel congegno ad alta precisione affinato negli anni dall'orologiaio Pep – è la grande favorita secondo i bookmaker, soprattutto perché è attesa da un ottavo apparentemente facile contro il Lipsia, mentre le altre avversarie dirette, dal Bayern al Psg, dal Liverpool al Real Madrid sono destinate a scannarsi allegramente tra di loro.

 

Il calcio europeo arriva parzialmente stremato al ritorno della Champions League: molte stelle non si sono ancora riprese dall’orgia di emozioni qatariote, a cominciare da Messi e Mbappé che non hanno alcuna voglia di pensare al Montpellier o al Clermont. Il vento gelido che ha iniziato improvvisamente a spazzare l’Europa (e non sta investendo solo il City e la Juventus) sembra anticipare importanti cambiamenti, anche economici, con la Superlega riveduta e corretta che è un’ipotesi ancora in piedi come unico tentativo di contrasto al calciofagismo della Premier League. Non ce ne vogliano tutte quelle squadre che stanno esibendo un calcio magnifico, ma è possibile che il 2022-2023 passerà alla storia soprattutto come una stagione di transizione verso una nuova èra, a partire dunque dalla sua massima espressione competitiva: la Champions League.

 

Scendiamo nei dettagli: il Real Madrid sembra procedere ormai di puro carisma a cominciare da Ancelotti, che come nelle migliori-peggiori versioni del suo Milan sta scientemente buttando via il campionato con sconfitte poco commendevoli contro Mallorca o Rayo Vallecano, perché a tutti quei vecchi draghi in rosa ormai interessa solo l’Europa. Il Bayern Monaco è alle prese coi dolori del giovane Nagelsmann, poco seguito e forse anche un po’ boicottato dal solito spinoso spogliatoio, già intossicato dai veleni politici del caso Neuer. Il Psg è di nuovo in quella pericolosissima disposizione d’animo di giocarsi la stagione alla roulette come l’anno scorso al Bernabeu, quando non gli bastò dominare tre quarti dell’ottavo contro il Real Madrid: il calcio non funziona come Alexa, non è facile passare da acceso a spento con un battito di mani. Il Liverpool di Klopp, abbondantemente a fine ciclo, è tatticamente in mezzo a una strada così come il Chelsea del povero signor nessuno Potter, che fatica ancora – e ci mancherebbe altro – a trovare la quadra dopo la rivoluzione d’inverno e vede già gli avvoltoi volteggiare sopra la panchina. Rimane appunto il City di Guardiola che, anche a voler ignorare il polverone delle indagini, ha sempre mantenuto una sconcertante idiosincrasia verso il meccanismo dell’eliminazione diretta, inventando sempre modi nuovi per automortificarsi. Ogni pretendente ha almeno un difetto bello grosso che diventa la porta della speranza per tutti gli altri sfidanti.

 

Da questo discorso abbiamo lasciato fuori l’Italia, sia intesa come movimento che come somma delle singole squadre. Se in questo momento è arduo pensare al Milan come seria candidata ad andare avanti (anche se il Tottenham non sta molto meglio e pure lui ha perso il portiere titolare Lloris), Inter e Napoli hanno parecchie carte in regola per inserirsi nelle pause e nei balbettii delle altre e diventare il vascello-pirata dell’edizione. L’esempio da imitare è il Villarreal che l’anno scorso fece onore alla sua nomea di sottomarino ed eliminò col silenziatore Juventus e poi il Bayern, per fare infine sudare non poco il Liverpool in semifinale. Si parte con un ottavo di finale insidioso ma ampiamente alla portata per entrambe e poi non si sa dove si potrà arrivare, magari a un derby ai quarti che comunque ci darebbe la certezza di un’italiana in semifinale a cinque anni dalla Roma allenata allora da Di Francesco (a proposito di sorprese).

 

La Champions spesso ragiona per contraddizioni, come dimostra anche il lunghissimo ponte tibetano attraversato dal Real Madrid 2022 prima di trionfare a Parigi: nulla di più semplice che riportare sugli allori il calcio italiano, spettatore in Qatar ma comunque brillante già nelle fasi autunnali delle tre competizioni europee – in un modo o nell’altro, siamo arrivati a febbraio con sette rappresentanti ancora in corsa e in questo secolo era successo solo nel 2009. Può servire allo scopo un campionato mai così irrilevante, dove ci sono addirittura squadre come Juventus e Fiorentina che, per varie ragioni, sembrano molto più concentrate a ciò che succederà al giovedì invece che alla domenica. E soprattutto, visto che la Champions è una competizione di dettagli e intuizioni folgoranti (guardate quante partite ha cambiato Ancelotti lo scorso anno con le sostituzioni), può servire lo stato di grazia che Luciano Spalletti sta sfoggiando da agosto e che Simone Inzaghi nelle partite dentro o fuori possiede quasi sempre, o almeno fino al 75esimo. Ricordando infine che le edizioni post-Mondiale sono spesso finite con le “prime vittorie” di squadre e allenatori che hanno fatto epoca, nel breve o nel lungo periodo: l’Ajax di van Gaal (1995), il Manchester United di Ferguson (1999), il Milan di Ancelotti (2003), il Liverpool di Klopp (2019). È anche vero che in quest’epoca di mercato frenetico e onnivoro, in cui il mercato depreda all’istante ogni minimo accenno di squadra emergente, non c’è più spazio per i cicli. Chissà: tra qualche mese il calcio potrebbe essere cambiato di nuovo, verso direzioni che noi umani ancora non possiamo immaginare.

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