Foto LaPresse

Il Foglio sportivo

Bandecchi, la sua Ternana, il calcio e l'invettiva anti ultras

Francesco Gottardi

“Il calcio è un sistema malato, troppi costi per le piccole come la mia Ternana”. Parla il presidente della squadra umbra

A Terni si attende l’ora della verità. “Quella del ritorno in campo: a parlare dev’essere il pallone”. E non il club. O i tifosi. Che magari finiscono pure per scazzottarsi a distanza, l’uno contro gli altri: aspra contestazione societaria, fiumana di insulti e polveriera social. Ma verba volant, suvvia. E bottiglie pure. “Vedete”, dice Stefano Bandecchi, “c’è una splendida poesia di Rudyard Kipling che recita più o meno così: tu sarai un uomo, figlio mio, quando riuscirai a trattare i re e le folle allo stesso modo. Ed è vero: sono il presidente di una squadra di calcio. È vero, sono un imprenditore. È vero, mi occupo di politica. Ma io sono prima di tutto un uomo. E come tutti gli uomini, anch’io ho due facce. Una buona. L’altra, come dire… (esita, ridacchia un po’, ndr) meno buona, ecco”. E la voce del Bandecchi erudito lascia spazio al ricordo del Bandecchi furioso, che sotto Natale silurò la curva rossoverde via Instagram con un frasario da antologia ultras: “Non vi meritate un cazzo, merde inutili, collegate il cervello altrimenti la bottiglia di oggi ve la rimetterò nel culo. Buone vacanze”. E felice anno nuovo a tutti.

   

La situazione sa di paradosso. Oggi la Ternana orbita in zona playoff di Serie B, è nel pieno di una delle congiunture sportive più promettenti dei suoi ultimi cinquant’anni, eppure ha da poco cambiato allenatore (Aurelio Andreazzoli al posto di Cristiano Lucarelli) e sale alla ribalta della cronaca “per alterchi come quello che sapete”, Bandecchi racconta al Foglio sportivo, a freddo. “Ultima partita, ko contro il Frosinone: qualcuno lancia la famosa bottiglietta dagli spalti al campo e tocca spendere a me per responsabilità oggettiva. Meno male che non mi hanno preso in testa, sennò avrei dovuto pagare due volte”, sorride. “Scherzi a parte: è stata una seccatura, un gesto sgradevole, ma sempre nei limiti della cretinata. Nessuno voleva fare male a nessuno. La nostra è una tifoseria vivace, per fortuna”. Pace fatta, insomma. “Massì. Siamo umani. E piuttosto che un pubblico scialbo, preferisco confrontarmi con una comunità attiva e presente, che con noi ha anche collaborato nel sociale e presta costante attenzione ai più bisognosi. Allo stesso tempo ha una malattia che si chiama Ternana: per la propria squadra esige il meglio e in mezzo a tante persone equilibrate, direi il 99 per cento, c’è qualche testa calda che durante una giornata no reagisce male. È così che poi scoppia la rissa, perché pure io non so tirarmi indietro. Ma ditemi: potrei forse fare altrimenti?”. Forse. “Allora ribadisco che tutti gli uomini sono uguali, dal primo dei potenti all’ultimo dei miseri. E dunque io rispondo a tutti. Qui in Umbria l’ho dimostrato in lungo e in largo”.

 

Così il greve j’accuse da stadio passa quasi per camaleontico adattarsi. A contesti e interlocutori, a toni e registri linguistici: c’è da tenere insieme il cittadino onorario di Terni, il fondatore dell’Università telematica Unicusano, il coordinatore nazionale di Alternativa popolare – progetto politico à la Brugnaro che ha appena annunciato il proprio endorsement a Francesco Rocca, candidato del centrodestra alle regionali del Lazio – e dal 2017, il patron della Ternana. Forse la parte più difficile. “Oggi a fare calcio in provincia ci si fa male. Ma mica per colpa dei tifosi: il vero problema è la mancanza di un equilibrio economico di sostentamento”.

 

Ecco un altro Bandecchi: l’aziendalista. “La divisione del denaro è totalmente ingiusta”, l’analisi del presidente. “Tra la Serie A e la B c’è un abisso a livello di introiti, eppure sul piano dei costi non è più così. Soprattutto per le squadre che ambiscono a un campionato di vertice”. Come i rossoverdi. “Il grande sogno resta la promozione. Ma servono tante cose: infondere la mentalità giusta al gruppo, perché non c’è risultato senza una filosofia che lo precede; fare i conti con la palla, che è pur sempre rotonda; e poi cifre che sono il triplo o il quadruplo di quel che si riesce a racimolare tra diritti tv, contributi della Federcalcio e incassi al botteghino. Che per una piazza come Terni toccano al massimo i 100mila euro a partita”. Un quadro scoraggiante. “Mollare tutto? Per il momento no. Io spero sempre che il sistema si illumini per spazzare via questo circolo vizioso: è in crisi la Juventus, è in crisi il Milan, così come l’Inter, la Roma e la Lazio. Se perfino le nostre big hanno a che fare con buchi di bilancio dai 400 milioni al miliardo e mezzo, c’è un problema sì o no?”. Riparte l’invettiva, Bandecchi da comizio. “In termini finanziari il calcio non esiste, fa schifo, mancano i soldi. Gli unici che ci guadagnano sono giocatori e procuratori strapagati. Tutti gli altri ci rimettono. Assistiamo ogni giorno a scandali e a fallimenti societari vergognosi”, nell’ultimo decennio ben 76 nella sola Serie C, “che è una categoria da rifondare profondamente, un bagno di sangue per chiunque. Nessuna azienda seria, in qualunque altro settore, potrebbe paragonarsi alla gestione di un club di calcio. Vedo debiti da tutte le parti: hanno falsato i campionati, hanno falsato i mercati. E invece di affrontare tutto questo, che si fa? Si nasconde la polvere sotto il tappeto, consentendo di spalmare nei prossimi cinque anni la somma dovuta all’erario. Ora voglio chiedere alla Figc: io dunque nel biennio che verrà posso contrarre debiti senza pagare l’Inps?”.

 

Non vale soltanto per il pallone. Oltre alla norma ‘Salva calcio’, a dicembre è passata anche un’analoga ‘Salva Sicilia’. “Lo so, ma vi sembra normale? Negli ultimi trent’anni la politica in Italia ha fatto acqua da tutte le parti: fino al 1980 il nostro debito pubblico non era di tale mostruosità. Dopo Tangentopoli, dalle strategie energetiche al tessuto imprenditoriale, invece abbiamo fallito”. Bandecchi si fa statista. “Ho deciso di mettere il mio impegno a disposizione della cosa pubblica perché ritengo che in questo momento sia in mano a persone che ci hanno capito poco. Come classe dirigente, intendo”. Bandecchi contro tutti. “Ho 62 anni, di aspettare non ho più voglia, vedo una nazione nel suo complesso danneggiata e priva di asset positivi. In più sento in giro delle minchiate colossali: chi dice che in economia non bisogna più pagare i debiti è fuori dal mondo. Chi tenta di fermare l’inflazione aumentando i tassi d’interesse lo è altrettanto. Se la Bce li alza anche a febbraio, temo che io e lei possiamo annà a fa’ i cartoni”.

 

Lo scopriremo presto. Ma dopo ‘sta carrellata di pessimismo cosmico (o realismo spicciolo, scegliete voi), cos’è che tiene ancora Bandecchi aggrappato al timone? “Il ricordo della retrocessione”, anno 2018. “Essere subito scivolato in Serie C mi ha dato la forza di affrontare tutto quel che non mi piace di questo mondo. Perché credo che un uomo debba innanzitutto aggiustare ciò che ha rotto. E io ho messo a posto la Ternana, riportandola in B”. Uno a uno e palla al centro. “Già. Ma io voglio vincere e fare il secondo gol: quello della Serie A. Ecco, in questo senso credo di avere tanto in comune con la nostra tifoseria. Perché più hai, più vuoi avere: trovo che sia un ardore sano nello sport”. Alla faccia di quel che si insegna a scuola. “Lasciamo stare le frasi fatte: partecipare non conta nulla”. E a questo punto sembra riecheggiare, un po’ sornione, un altro verso di quella stessa poesia di Kipling: [sarai un uomo] se riuscirai a confrontarti con il Trionfo e la Sconfitta / e trattare questi due impostori allo stesso modo. Il presidente ha già esposto la sua personalissima parafrasi. Piaccia o no.

Di più su questi argomenti: