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qatar 2022

L'Argentina ha troppi ricordi di finali perse

Andrea Lamperti

Nemmeno Franco Armani e Leo Messi, i più attempati della Nazionale argentina, ricordano l'ultima Coppa del mondo alzata dall'Albiceleste. Ora un’intera generazione può chiudere il conto con il passato

Neanche spolverando i ricordi d’infanzia di Franco Armani e Leo Messi, i più attempati di questa Argentina, si può trovare un giocatore dell’Albiceleste che conosca la sensazione di vincere un Mondiale. Nessuno era ancora venuto al mondo quando la Seleccion del 1986, trascinata da Maradona, trionfava per la seconda volta nella sua storia, in Messico.

 

Al contrario, la delusione per una sconfitta in finale è tristemente familiare per gli argentini protagonisti in Qatar. Alcuni, ancora bambini, erano davanti allo schermo nel luglio del ’90, quando Brehme con un rigore portava la Germania Ovest sul tetto del Mondo; e tutti ricordano con precisione dov’erano il 13 luglio 2014, mentre Götze infrangeva il sogno di trasformare Rio de Janeiro in Buenos Aires per una notte.

 

Otto anni dopo, l’Argentina si affaccia all’atto finale dei Mondiali con l’occasione di scrollarsi di dosso i ricordi più amari e di gridare al cielo, per tre volte, quel tanto agognato campeones del mundo. Per riuscirci dovranno sconfiggere la Francia, ma anche i demoni del passato, scacciati solo in parte dal successo di un anno fa in Copa America.

 

Se dopo la delusione a Italia ‘90 l’occasione di riscatto è stata colta immediatamente, grazie ai successi continentali del ’91 e del ’93, la storia non si è ripetuta con le ultime due maledette generazioni. Una Seleccion piena di talento dopo l’altra, eppure un vuoto di oltre 25 anni nel palmares e un climax drammatico di finali perse.

 

Le due cocenti delusioni che inaugurano la maledizione risalgono al 2004 e al 2007, entrambe le volte contro il Brasile, in Copa America. La prima con una rimonta coronata dai verde-oro all’ultimissimo minuto e poi ai rigori, la seconda con un 3-0 incassato da una Seleção tutt’altro che irresistibile.

 

Nel 2014, poi, il rimpianto più grande. Lo stop e il sinistro al volo di Götze entrano negli almanacchi, ma nei ricordi del popolo argentino è la notte degli errori sotto porta di Higuain e Palacio. Una notte che dura due anni: nella Copa America del 2015 e nell’edizione straordinaria del 2016 torna in finale, ma si ferma a 11 metri dalla redenzione, crollando entrambe le volte ai rigori contro il Cile. Quello sparato alle stelle da Messi è la fotografia di un autentico psicodramma. La frustrazione del diez esplode a caldo, nel post-partita, quando annuncia l’addio alla Nazionale: “Dopo quattro finali, provo una grande tristezza, che non passerà".

 

Cinque anni più tardi, un 34enne Messi trova finalmente il modo di far passare questa tristezza. L’unico possibile: alzare il suo primo trofeo con l’Albiceleste e interrompere il lungo digiuno, battendo il Brasile in casa sua. Ora rimane quell’ultimo, grande traguardo da raggiugere. La possibile consacrazione, definitiva, di Leo. E la grande occasione, per un’intera generazione, di chiudere il conto con il passato.

 

“Las finales que perdimos, cuántos años las lloré”, cantano i sudamericani negli stadi del Qatar. “Le finali che abbiamo perso, per quanti anni le ho piante”.

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