Steve Nash con Kevin Durant (AP Photo/John Minchillo)

Nba

Da Nash a Udoka: la scelta tecnica e politica dei Nets

Andrea Lamperti

La franchigia di Brooklyn cambia coach dopo anni di delusioni, liti e rapporti tesi con i più forti giocatori nello spogliatoio. All'ex guida dei Boston Celtics tocca la sfida di rendere vincente un gruppo spaccato

Alla fine, le due storie che hanno sollevato più rumore in offseason – le turbolenze a Brooklyn e il caso-Udoka – si sono intrecciate. Protagonisti di un preoccupante avvio di stagione (2-6) e avvolti da una più che preoccupante atmosfera, infatti, i Nets sono arrivati alla conclusione che il divorzio con coach Steve Nash fosse ormai inevitabile, e hanno individuato in Ime Udoka il suo successore.

 

La scelta del general manager Sean Marks è il punto d’arrivo di un biennio segnato da infortuni, rivoluzioni del roster e delusioni nei playoff. Ed è il prevedibile epilogo di un’offseason tutt’altro che serena, dai postumi dello sweep incassato proprio dai Celtics di Udoka alla spaccatura con le due stelle della squadra, Durant e Irving. L’estate ha spazzato via ogni certezza al Barclays Center, tranne una: per Nash mantenere il polso della situazione sarebbe stato molto difficile, se non impossibile.

  

Turbolenze a Brooklyn

Insieme a Marks, l’allenatore ad agosto è stato il bersaglio dell’aut-aut che Kevin Durant ha recapitato alla proprietà: o loro, o me. La partenza di KD, come quella di Irving, è sembrata a lungo uno scenario possibile, ma alla fine ha prevalso l’impossibilità di trovare una franchigia disposta a pagare il suo esorbitante costo. Sulle rive dell’Hudson si è quindi cercato, invano, di trovare un compromesso.

Se i risultati ottenuti da Steve Nash in post-season, gli attriti con le superstar allenate in questi due anni (Irving, Durant, Harden) e i limiti dimostrati nel coaching non erano stati – discutibilmente – sufficienti per scoraggiare la dirigenza in estate, nelle ultime settimane l’elettricità nell’aria è diventata insostenibile. Probabilmente lo era da tempo, ma davvero i Nets avrebbero potuto (dare l’impressione di) piegarsi istantaneamente al ricatto di KD? Con un ristretto margine d’errore, azzerato dall’improvvisa disponibilità di Udoka, è stata concessa un’ultima possibilità a Nash, nella speranza che il ritorno di Ben Simmons e i nuovi innesti potessero aiutare, sul campo e in spogliatoio. Sette partite, invece, sono bastate per cambiare idea.

 

La missione di Udoka

Udoka arriva da una straordinaria annata d’esordio come head coach, culminata con il ritorno dei Celtics alle Finals, ma anche dalla brusca interruzione del suo mandato il 22 settembre scorso, a meno di un mese dal season opener, quando l’organizzazione ha annunciato la sua sospensione per tutto l’anno. Il motivo: la violazione di una regola interna, causata da una “relazione inappropriata” con un membro dello staff - su cui non è (ancora) stata fatta luce - e da alcune “espressioni inappropriate” a tal proposito.

Se due anni fa la squadra veniva coraggiosamente affidata a Nash, alla sua prima esperienza su una panchina Nba, stavolta Brooklyn cerca e trova nell’ex coach dei Celtics maggiori sicurezze. Il suo biglietto da visita – Finals, miglior difesa della lega – è rassicurante, e la sua presenza garantisce anche una certa continuità. Udoka è stato parte dello staff dei Nets nel 2020/21, e in altre esperienze da assistente ha costruito solidi legami personali con Marks (a San Antonio), Durant (a Tokyo) e Simmons (a Philadelphia).

La sua agenda nella Grande Mela partirà inevitabilmente dal lavoro sulla difesa, che attualmente è la 29esima dell’Nba e già nella passata stagione era tra le peggiori dieci. Anche in attacco, però, il lavoro da fare è parecchio. Nonostante il diffuso talento nel roster e la profondità delle rotazioni, in due anni i Nets non hanno mai davvero valorizzato il loro supporting cast, limitandosi a raccogliere i frutti degli isolamenti di Durant e Irving. La parola d’ordine di Udoka sarà proprio questa, valorizzare. Ma prima di tutto, dovrà ricomporre e unire, perché la nave su cui è salito non naviga da tempo in acque calme.