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Foglio sportivo

“Vinciamo divertendoci”. Parla il pallavolista Lavia, bomber azzurro al Mondiale

Pierfrancesco Catucci

“Il gruppo è il nostro segreto. C’erano giorni in cui alla sera non ci reggevamo in piedi. È la nostra vita, il nostro sport, ci sarà tempo per riposare”, dice il supereroe della Nazionale di De Giorgi che ha trionfato in Slovenia

Anche i sogni cambiano. Crescono. Si misurano con l’esperienza e le aspettative di chi li coltiva. Non sono da meno quelli di Daniele Lavia, supereroe della finale del Mondiale di pallavolo, che hanno inevitabilmente subito un’evoluzione. “Da bambino sognavo di partecipare un giorno all’Olimpiade. Credo sia il desiderio più comune di chiunque pratichi sport a livello agonistico”. Ci è riuscito lo scorso anno, nonostante il risultato non sia stato proprio quello sperato. “Subito dopo i Giochi, però, è cominciato un nuovo percorso, abbiamo vinto un Europeo e, un anno più tardi, il Mondiale. Ora sogno non solo di tornarci all’Olimpiade, ora voglio vincerla”. Per entrare nella storia, ammesso che già questo giovane partito dalla Calabria alla conquista del mondo non ci sia già. Perché se da un lato la Nazionale di De Giorgi ha compiuto un’impresa inimmaginabile alla vigilia, dall’altro neanche la più forte Italia di tutti i tempi, la “Generazione di fenomeni” che ha dominato il mondo per un oltre un decennio, è mai riuscita a vincere un oro olimpico. Ci proverà il ragazzo partito da Corigliano Calabro come Rino Gattuso, ma che il calcio non lo ama: “Meglio il tennis. Roger Federer è il mio mito”.

 

Daniele Lavia si sta godendo le ultime ore di una meritata, seppur brevissima, vacanza in Toscana, prima di rituffarsi nel lavoro quotidiano con la maglia di Trento. Meno di una settimana, neanche il tempo di metabolizzare la straordinaria cavalcata, il secondo incontro in un anno con il presidente della Repubblica Mattarella e il premier Draghi, che si torna in palestra per preparare una nuova stagione. “È la nostra vita, il nostro sport, ci sarà tempo per riposare”. Ora sicuramente no, visto che il 2 ottobre riparte la stagione di Superlega e la Trento dei giovani di Angelo Lorenzetti (che tanto in comune ha con la Nazionale di De Giorgi) ha lo stesso obiettivo degli azzurri: mettersi nelle condizioni di lottare per vincere. Nella passata stagione ha portato a casa la Supercoppa italiana ed è andata a un passo piccolo così dal capolavoro in finale di Champions League contro i polacchi dello Zaksa. “Quest’anno sono cresciuto tanto, ho avuto la possibilità di misurarmi con le difficoltà di una stagione di alto livello per un campionato intero e poi ho affrontato un lungo percorso con la Nazionale che, sin dal primo giorno, aveva un grande obiettivo: il Mondiale”. 

 

Tutto con il compagno di stanza, ma anche di scherzi e risate, Roberto Russo, centrale di Perugia rientrato in azzurro dopo una serie di problemi fisici. “È più che un compagno di squadra, è un amico. Io, lui e Ricky Sbertoli siamo legatissimi e parliamo tanto, non solo di pallavolo”. Perché la retorica del gruppo alla base dei successi, in casi come questo è superata dalla sostanza. “Non sempre è necessario essere amici per essere un’ottima squadra, ma nel nostro caso, dentro il gruppo, ci sono legami così solidi che trascendono lo sport”. E sono il fuoco che permette anche a chi gioca meno di non raffreddare neppure per un istante il sostegno per chi è in campo, di non abbassare il livello degli allenamenti, di essere sempre pronto a fare la propria parte, non per “rubare il posto” al compagno, solo per aiutarlo a superare un momento di difficoltà. “Questo – prosegue Lavia – è un gruppo meraviglioso che potrà togliersi ancora soddisfazioni se continuerà a lavorare sulla stessa strada”.

 

Perché è il lavoro, come hanno sottolineato tutti i protagonisti dopo il Mondiale, la chiave del successo: “C’erano giorni in cui alla sera non ci reggevamo in piedi e volevamo solo andare a letto. Lo staff ci diceva: ‘Non preoccupatevi, è normale’. C’è sempre stato un clima molto disteso, ma quegli allenamenti così intensi erano davvero massacranti. Ora, però, tutto ha un senso diverso”. E allora, quando la batteria del fisico lo consentiva, la squadra non perdeva occasione di condividere qualcosa: “C’era un gruppo più da PlayStation, un altro più da passeggiate e chiacchierate. Io facevo parte del secondo”. Lui, così poco social, “anche se i miei fratelli mi hanno quasi imposto di esserlo un po’ di più”, sta studiando consulenza del lavoro per tenere sempre pronto un piano B quando l’anagrafe (ce n’è di tempo ancora) consiglierà di intraprendere altre strade e lui potrà scegliere di seguire le orme di papà Franco e mamma Sabrina che domenica lo hanno festeggiato in Polonia: “Purtroppo l’anno scorso non sono potuti venire per via del Covid, quest’anno non potevano mancare e abbracciarli con l’oro al collo è stata un’emozione fortissima”. Così come festeggiare con i fratelli maggiori Antonio e Lorenzo, entrambi pallavolisti e determinanti nella scoperta della sua passione per lo sport.

 

Sono stati loro a introdurlo al volley e, dopo l’esordio a 14 anni in Serie A2 a Corigliano, a spingerlo a fare le valigie e trasferirsi in Puglia, all’accademia della Materdomini Castellana Grotte a farsi le ossa, prima di spiccare il volo a Ravenna. “È lì, dopo quella meravigliosa stagione con Bonitta (oro mondiale con la Nazionale femminile nel 2002 e che con i giovani ha sempre lavorato benissimo, ndr) ho capito che avrei potuto fare qualcosa di importante nella mia carriera”. Sono arrivate così Modena, Trento e la rincorsa al tetto d’Europa e del mondo con la Nazionale. Un percorso fatto di piccoli passi, proprio come quello degli azzurri in Slovenia e Polonia, partiti come l’outsider del torneo e arrivati al traguardo con l’oro al collo. 

 

“E, a dirla tutta, siamo stati anche un pizzico sfortunati perché Cuba agli ottavi era l’avversaria più difficile che potesse capitarci. Non è stata una bellissima partita, ma vincerla in sofferenza ci ha dato la giusta carica per arrivare emotivamente pronti alla prima delle tre finali che abbiamo giocato dopo”. Sì, perché contro la Francia di Giani (che con Lavia ha lavorato a Modena) c’era un conto in sospeso. “Volevamo affrontarli e batterli, dopo la brutta sconfitta in semifinale di Nations League. Quella è stata la vittoria più importante. Lì abbiamo capito che avremmo potuto battere chiunque”. E dopo la partita Jenia Grebennikov (il libero transalpino, suo ex compagno in Emilia) gli ha dato quella spinta in più per le successive due partite da fuoriclasse: “Abbiamo parlato a lungo quella sera, siamo molto amici e, oltre a complimentarsi con me, mi ha dato una grande carica in vista della semifinale”. 

 

In semifinale con la Slovenia e in finale con la Polonia, dove Lavia ha indossato il costume da supereroe e si è caricato sulle spalle la squadra. Miglior realizzatore azzurro della final four, 75% di attacchi vincenti contro la Slovenia, terzo miglior realizzatore di tutto il Mondiale. Numeri da opposto. “Ero in una sorta di trans agonistica. Ero talmente concentrato e determinato che mi riusciva tutto facile”. In fin dei conti, si è trattato “solo” di mettere in pratica i consigli che il c.t. aveva dato loro nello spogliatoio prima della partita: “Siete pronti per questa finale, giocate come sapete, godetevela e divertitevi”. L’hanno preso alla lettera.
 

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