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l'anniversario

Trent'anni fa il Dream Team cambiò per sempre la storia del basket

Umberto Zapelloni

Dal 26 luglio all'8 agosto 1992 ai Giochi olimpici di Barcellona la nazionale americana impressionò il mondo. Un racconto di chi ha avuto la fortuna di vedere Michael Jordan, Magic Johnson e gli altri da vicino

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C’è una squadra che trent’anni fa ha cambiato il basket se non addirittura tutto lo sport. È il primo, l’originale, l’unico vero Dream Team che ai Giochi di Barcellona schierò la miglior squadra di pallacanestro mai scesa sulla terra. Magic, Jordan, Bird potrebbero bastare. Ma se ci aggiungiamo Ewing, Barkley, Drexler, Malone, Mullin, Pippen, Robinson, Stockton e Laettner, preferito a un certo Shaquille O’Neal, l’unico universitario ammesso al banchetto per non fare arrabbiare la Ncaa, ecco che la squadra da sogno è al completo. Con la regia di Chuck Daly e la benedizione di Boris Stankovic, capo della Federazione internazionale e di David Stern, commissioner Nba, e i grandi registi della più riuscita operazione di marketing e comunicazione del mondo dello sport.

Quella squadra vinse otto partite su otto segnando una media di 117,5 punti a gara e vincendo sempre con uno scarto di almeno 44 punti. La finale contro la Croazia l’8 agosto 1992 finì 117-85. L’ultima esibizione di una squadra irripetibile, la prima ad aver portato i professionisti ai Giochi olimpici. Quella squadra in fin dei conti fu la miglior interpretazione del motto decoubertiniano “l’importante è partecipare”. Perché contro il Dream Team tutti volevano giocare e non importa se sapevano in partenza che avrebbero perso e non di poco. Solo il Canada provò ad alzare la voce perché non voleva giocare contro Magic, un giocatore che l’anno prima era risultato positivo all’HIV, l’anticamera dell’Aids. Una voce isolata e subito sommersa dalle voci contrarie. Ben venga Magic con il suo messaggio di speranza per tutti i malati.

Trent’anni fa non era come oggi che ti basta accendere Internet per vedere i migliori giocatori del mondo in azione. Trent’anni fa la possibilità di vedere insieme Magic, Michael e Larry era un sogno che nessuno aveva mai osato fare. Non erano una squadra di pallacanestro normale. Erano un manuale del basket. Gli harlem Globe Trotters erano dei giocolieri che affrontavano avversari messi lì ad applaudire lo spettacolo. Il Dream Team giocava contro avversari veri partite vere anche se in realtà gli avversari sono stati sbriciolati tutti: Angola, Croazia, Germania, Brasile, Spagna, Portorico, Lituania e ancora Croazia. Dal 26 luglio all’8 agosto diedero spettacolo approfittando anche del fatto che le uniche nazionali che avrebbero potuto sognare di restare a contatto, Urss e Jugoslavia si erano sgretolate dividendosi in tante nazioni diverse.

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Le Ramblas sono da sempre il cuore di Barcellona. In quelle settimane attorno all’hotel che ospitava il Dream Team c’era un affollamento mai più visto. I signori del basket non erano scesi al Villaggio Olimpico in riva al mare. Avevano preferito sequestrare un hotel a cinque stelle con letti su misura, minibar sempre riforniti e le mattinate libere per andare a giocare a golf. Per i cacciatori d’autografo la vita fu impossibile. Uscivano dall’hotel e si infilavano su un bus dai vetri oscurati che, scortato dalla polizia, li avrebbe portati a Badalona dove si giocava il torneo di basket.

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Fino a Barcellona gli Stati Uniti avevano partecipato alle manifestazioni internazionali con i migliori giocatori dei college (Jordan aveva infatti già vinto l’oro nel 1984 a Los Angeles, appena uscito da North Carolina). Nel 1988 a Seul, però gli Usa degli universitari (tra cui Robinson) erano stati battuti in semifinale dall’Unione Sovietica, un avvenimento che era capitato soltanto a Monaco ’72 in quella famosa finale decisa da Alexander Belov. Fu Boris Stankovic, presidente internazionale ad avere l’idea di aprire alla Nba. David Stern non se lo fece ripetere due volte. Per il basket fu uno spot incredibile. Per lo sport un punto di partenza. Da quel momento in poi ogni squadra imbattuta è diventata un Dream Team del suo sport. Dopo quei Giochi catalani nulla fu più come prima.

Andare a Badalona era un evento nell’evento dei Giochi Olimpici dove tutti di solito sognano di assistere alla finale dei 100 metri. A Barcellona tutti volevano andare in quel palazzo dello sport un po’ fuori mano, ma sempre vestito a festa. Vedere da vicino i migliori giocatori di sempre era diventato il sogno di chiunque. Averli potuti seguire partita dopo partita come inviato de il Giornale a Barcellona, fu un’emozione unica anche se le star erano praticamente inavvicinabili dai comuni mortali. Era stato più facile qualche giorno prima a Montecarlo in un media day internazionale. E vederli in allenamento, nelle partitelle tra loro, era ancora meglio. Dieci così li trovavi solo all’All Stars Game che a quei tempi non vedevi certo in diretta su Sky.

A Montecarlo fu giocata, purtroppo a porte chiuse, quella che viene raccontata come la partita più bella della storia della pallacanestro. Un cinque contro cinque senza domani tra la squadra di Magic e quella di Jordan. Una partita che è diventata un momento mitico dello sport. “Fu la partita più bella della mia vita” ha detto Jordan. Era il 22 luglio e a fine allenamento si giocò un Est contro Ovest con Jordan, Bird, Pippen, Mullin, Ewing (e Laettner) contro Magic, Drexler, Malone, Barkley e Robinson. Finì in pareggio. Ma i giocatori vollero andare avanti. Il trash talking era aumentato a livelli mai visti prima. Fu partita vera. Verissima come raccontano i pochissimi testimoni. Alla fine vinse l’Est e quel giorno si capì che lo scettro era definitivamente passato da Magic a Michael Jordan. Ma il bello ai Giochi di Barcellona doveva ancora arrivare. “Gli Usa con Bill Russell nel 1956 o di Roma 1960 con Jerry West, Oscar Robertson, Jerry Lucas sono stati fenomenali, imbattibili. Ma il Dream Team è stato il gioiello più luminoso della corona del basket mondiale. Tutto quello che vediamo oggi, è natò in quelle settimane a Barcellona”, conferma il mitico coach Dan Peterson.

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