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Il Galles ai Mondiali è il terzo incomodo di un intrigo internazionale

Francesco Gottardi

I gallesi hanno eliminato l'Ucraina che sognava il Mondiale tra gli applausi di tutti, ucraini compresi. In Qatar andrà la nazionale di Cardiff. E come nella sua prima partecipazione ci finisce "al posto" di chi ci "sarebbe dovuta andare" per motivi che col calcio non c'entrano

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È successo di nuovo. Il mondo aspetta l’altra squadra, al Mondiale ci finisce il Galles. Ma non chiamatelo guastafeste. Il diritto a festeggiare “il più grande risultato dei nostri 146 anni di storia calcistica”, Gareth Bale dixit, è il limpido frutto del campo. Una sola traiettoria sporca, nella notte dello spareggio: la punizione dell’ex stella del Real Madrid, deviata fatalmente nella propria porta dal capitano ucraino Yarmolenko. Tutto il resto sa di fair play autentico, più che buonista. Prima del calcio d’inizio, l’intero Cardiff city stadium a omaggiare la nazionale ucraina, con i suoi 2.000 sostenitori al seguito. E al fischio finale la corsa dei giocatori gallesi: in primis verso il settore ospiti, lungo strascico di applausi. Tutti, perfino l’arbitro spagnolo Lahoz, vanno a consolare Zinchenko e compagni. Per loro c’era in palio qualcosa di più. Ma durante i novanta minuti di una partita di calcio, non c’è guerra che tenga. Spazio e tempo sospesi fra due porte.

    

Ieri, come nel 1958. L’ultima apparizione del Galles alla Coppa del mondo. Anche allora, i Draghi rossi si trovarono sul loro cammino un avversario con gli occhi della geopolitica puntati addosso. Anzi, la dinamica fu ancora più rocambolesca. Perché il Galles era già stato eliminato, da secondo del proprio girone europeo di qualificazione. Ma Israele, che a quel tempo faceva parte della Federcalcio asiatica, stava riuscendo nell’anomalia di strappare il pass per la Svezia senza aver disputato nemmeno una partita. Erano gli anni della crisi di Suez, il mondo islamico in rivolta contro i vecchi imperi coloniali e il giovane stato ebraico. Anche lo sport diventava pretesto di boicottaggio. Così, nell’ordine, Turchia, Indonesia, Egitto e Sudan si rifiutarono di affrontare la nazionale di Gerusalemme. Per evitare un’ammissione d’ufficio alla fase finale, la Fifa decise di ripescare una delle nove seconde classificate nei raggruppamenti europei. Venne sorteggiato il Galles. Che vinse 2-0 sia a Tel Aviv, sia a Cardiff. E si regalò il mito di John Charles, fresco di scudetto alla Juve. Quello di Ivor Allchurch, tuttora statua di bronzo fuori dallo stadio di Swansea, che con le due reti rifilate a Messico e Ungheria, contro ogni pronostico, trascinò la sua squadra ai quarti di finale. Fino al primo dei dodici gol mondiali di Pelé, sentenza sui gallesi.

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E oggi? I ragazzi guidati da Robert Page – che a livello di club non ha mai allenato oltre la terza serie inglese – sembrano parafrasare quel detto sulla struttura fisica del calabrone: inadatta per volare o vincere, ma loro non lo sanno e lo fanno lo stesso. Dell’undici trionfatore sull’Ucraina, metà gioca nell’analogo della nostra Serie B o vi è appena retrocesso, come Wayne Hennessey – “quanto di meglio abbia visto da un portiere”, altre parole del capitano – a Burnley e Ethan Ampadu a Venezia. Il solo Ben Davies è titolare fisso in un top club come il Tottenham. Daniel James fa altrettanto nel Leeds. Tutti gli altri sono reduci da comparsate stagionali – Joe Rodon, negli Spurs – o peggio – Aaron Ramsey, relegato dalla Juve ai Rangers con tanto di errore decisivo dal dischetto in finale di Europa League. Mentre Bale, il leader, alzava la quinta Champions League della sua carriera da separato in casa – quest’anno 290 minuti in tutto con i Blancos. Ora andrà in Qatar da svincolato di lusso, “dando forma al sogno di una vita”. Un insieme di storie storte che si fa squadra. E si fa Galles, anche se ai romanzieri non piacerà.

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