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L’evoluzione del basket europeo nel segno di Vasilije Micic

Francesco Gottardi

A 28 anni, il miglior giocatore delle ultime due edizioni di Eurolega ha sempre rifiutato l’Nba. Non per ideologia, ma per timore di bruciarsi: anche questo, nel vecchio continente, una volta sarebbe stato impossibile

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5 secondi alla fine, possesso Efes. Vasilije Micic in palleggio, sprint per sfuggire al raddoppio di marcatura, ma Vezenkov, ala grande dell’Olympiakos, è ancora lì, la mano protesa a sbarrargli la strada da oltre l’arco. Difesa da manuale. Eppure il serbo fa di più: tripla in sospensione, canestro. Alla McGrady, Kobe, Curry. È il buzzer beater che una settimana fa valeva l’ultimo atto di Eurolega. Lì, Micic avrebbe trascinato lo squadrone di Istanbul al secondo trionfo consecutivo. Da Mvp delle Final four, per la seconda volta di fila. Impresa da pochi eletti. Prima di lui appena Kukoc, Spanoulis e Bodiroga: soltanto quest’ultimo e Micic non hanno mai giocato in Nba. Ma Vasilije, nuova stella del vecchio continente, è ancora in tempo. Anzi, si dice che abbia aspettato fin troppo. I Philadelphia 76ers l’avevano scelto col numero 52 nel draft già nel 2014. Gli Oklahoma City Thunder detengono i suoi diritti per un eventuale trasferimento in Nba sin dal 2020. E a osservarlo sul Bosforo, negli ultimi tempi è arrivato anche Pat Connelly, il vicepresidente dei Chicago Bulls. Eppure finora, la risposta di Micic è stata una sola: Europa.

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5 secondi alla fine, possesso Efes. Vasilije Micic in palleggio, sprint per sfuggire al raddoppio di marcatura, ma Vezenkov, ala grande dell’Olympiakos, è ancora lì, la mano protesa a sbarrargli la strada da oltre l’arco. Difesa da manuale. Eppure il serbo fa di più: tripla in sospensione, canestro. Alla McGrady, Kobe, Curry. È il buzzer beater che una settimana fa valeva l’ultimo atto di Eurolega. Lì, Micic avrebbe trascinato lo squadrone di Istanbul al secondo trionfo consecutivo. Da Mvp delle Final four, per la seconda volta di fila. Impresa da pochi eletti. Prima di lui appena Kukoc, Spanoulis e Bodiroga: soltanto quest’ultimo e Micic non hanno mai giocato in Nba. Ma Vasilije, nuova stella del vecchio continente, è ancora in tempo. Anzi, si dice che abbia aspettato fin troppo. I Philadelphia 76ers l’avevano scelto col numero 52 nel draft già nel 2014. Gli Oklahoma City Thunder detengono i suoi diritti per un eventuale trasferimento in Nba sin dal 2020. E a osservarlo sul Bosforo, negli ultimi tempi è arrivato anche Pat Connelly, il vicepresidente dei Chicago Bulls. Eppure finora, la risposta di Micic è stata una sola: Europa.


È un percorso che si presta ai voli pindarici. Alle teorie di riscossa: il grande talento che finalmente sceglie di restare perché l’Eurolega, per alcuni aspetti di gioco, non ha nulla da invidiare al basket americano – in fin dei conti: vedere una superstar come Kevin Durant sugli spalti di un palasport greco o turco era inimmaginabile fino a poco tempo fa. “Il mio Anadolu Efes è una squadra da Nba”, ha esultato coach Ergin Ataman dopo la vittoria finale sul Real Madrid. “Quello che vogliono i fan è Micic che segna tiri del genere”, Jordi Bertomeu, presidente uscente di Euroleague basketball, prova a tenerselo stretto. E in passato, la stessa guardia 28enne ispirava suggestioni: “Non ho nessuna intenzione di andare negli Stati Uniti giusto per raccontare ai miei amici che ho giocato in Nba e portar loro una maglietta dei Thunder”. Ma poi ha aggiunto: “Se ci andrò, sarà a modo mio”.
Questo è il vero salto di mentalità di Micic. Un ragazzo cresciuto fra le montagne dei Balcani, che in origine “prometteva da sciatore molto più che da giocatore di basket”, parola di papà, e che a vent’anni ebbe l’occasione di misurarsi, in un training camp a Treviso, con il connazionale Nikola Jokic. Già allora, Vasilije capì parecchio: come il centro dei Denver Nuggets, Doncic o Antetokounmpo, ne nasce uno su milioni. Tutti gli altri magari brillano, altrove. Ma alla prova Nba annaspano. In fumo la classe di Spanoulis e Teodosic. Ridimensionati i centimetri di Mirotic. Per non parlare della mentalità: “Il problema più grosso da affrontare sui parquet americani è il trash talking”, ha rivelato il playmaker argentino Facundo Campazzo, dopo una stagione d’esordio tutt’altro che semplice nel 2020/2021. “Ecco”, diceva in quel periodo Micic. “Se non altro Campazzo è andato a Denver per ricoprire un ruolo specifico e ben definito: sarei disposto ad accettarlo anch’io. Ma farmi prendere dalla fretta, scegliere un progetto incerto e finire in panchina non fa per me”. Quell’estate rifiutò la chiamata dei Thunder.


Così la pazienza diventa valore aggiunto. Da quando sbarcò all’Efes nel 2018, Micic è passato dai 13 ai quasi 19 punti di media a partita. Una crescita costante, anche alle voci assist e rimbalzi, fino a tramutarlo in profilo da tripla doppia. Spaccapartite, dominatore. Sarà abbastanza per attraversare l’Atlantico? “Ho altri due anni di contratto a Istanbul”, le dichiarazioni dell’Mvp al termine delle Final four. “Qui sto bene ma mi piace pensare anche alle nuove sfide: se ci fossero le condizioni giuste, oggi sarei pronto a rischiare”. Sia pure da gregario scelto: “Non mi sembra che l’Nba stia piangendo per avermi”. L’Eurolega invece sì, forte di un reddito salito del 12 per cento nell’ultimo anno e di un +22 per cento di audience dal 2018 a oggi – dati Nielsen. Vasilije sa come funzionano le cose. Non è diverso dagli altri bambini: il sogno è sempre quello, la terra promessa della pallacanestro. Ma rispetto al passato, i fuoriclasse europei come Micic non si mettono in ginocchio pur di realizzarlo. È già tanto così. Senza vaticinare gap cestistici venuti meno con gli Stati Uniti. Più facili mille altri canestri sulla sirena.

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