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L'Italia del calcio non è un paese per giovani

Francesco Gottardi

Il selezionatore dell'Under 21, Paolo Nicolato, ha detto che “tra poco gli Azzurrini dovremo andare a cercarli in Serie C”. Non ha torto

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Nel calcio conta solo l’hic et nunc. Perfino per la Nazionale maggiore: ieri eravamo il paese in delirio per le notti magiche, oggi si sbuffa perché gli spareggi mondiali stoppano la Serie A, quindi il fantacalcio. Ma che choc se poi non andremo in Qatar. In questo clima figurarsi come se la passa l'Under 21: “Tra poco gli Azzurrini dovremo andare a cercarli in Serie C”, la dura ammissione del c.t. Nicolato, verso i prossimi match di qualificazioni europee. “Perché più su non giocano. Abbiamo bisogno di rimettere in discussione l’utilizzo dei giovani: il resto d’Europa insegna”. E di nuovo, oggi, in conferenza alla vigilia del Montenegro: “I nostri attaccanti è da un po’ che non segnano? Per forza, non vedono il campo”, anche se quando succede poi il gol lo trovano, vedi Cancellieri del Verona. “Mi dispiace se qualcuno si è risentito per le mie parole. Non volevo criticare, né fare polemiche. Soltanto constatare i fatti. A salvaguardia del nostro movimento”.

Solita indignazione all’italiana. Tutti i club sanno, eppure dissimulano. E non sopportano quando viene palesato che dietro i Bastoni e i Chiesa ci sia il vuoto. I dati a cui fa riferimento Nicolato sono una sberla: oggi nelle rose di Serie A ci sono appena 2,7 giocatori italiani U21 in media a squadra. E, sempre in media, a scendere in campo dal primo minuto ce ne va meno di uno a partita: lo 0,43 per cento. Il loro minutaggio complessivo è del 4 per cento. E nell’80 per cento dei casi entrano oltre il 70esimo minuto, che il più delle volte è garbage time. Non va molto meglio neppure in B: 3,7 Under 21 in rosa, 0,8 titolari a partita, 7 per cento dei minuti giocati sul totale, quasi due volte su tre in campo soltanto nei 20 minuti finali. Praticamente delle comparse.

L’istantanea è disarmante in assoluto. Soprattutto se comparata agli altri campionati.

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In tutto il calcio europeo c’è una tendenza all’esotico e al vecchio: secondo il Cies football observatory, dal 2009 la percentuale di giocatori stranieri è passata dal 34,7 al 42 e l’età media si è alzata dai 25,9 ai 26,2 anni, mentre l’impiego di calciatori cresciuti nei vivai è crollato dal 23,2 al 17 per cento. La Serie A è penultima, tra Premier League e Liga (rispettivamente 8,5, 7,7 e 7 per cento), per calciatori U21 indistinti per nazionalità. È penultima anche per utilizzo di giocatori dalla Primavera (8,9 per cento), dove invece Inghilterra (12,7) e Spagna (20,9) si risollevano. Ha inoltre la quarta età media più alta (quasi 27 anni) dopo i campionati di Cipro, Ungheria e Turchia.

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In soldoni: i dati aggregati peggiorano la leadership in negativo dell’Italia. Anni luce dalla Ligue 1 francese, che sarà anche noiosa ma per i giovani è un paradiso – 15 per cento dei calciatori totali. E dalla Bundesliga, dove un top club come il Borussia Dortmund (fonte Reuters) l’anno scorso è stato anche il primo in Europa per minuti concessi (7.620) agli Under 21. “Se contano solo i traguardi di fine stagione, sono i ragazzi a rimetterci”, spiega Nicolato. D’altronde, quando nel 1982 spread e inflazione spiccarono il volo compromettendo il nostro debito pubblico per decenni, da noi si cantava cicale, cicale, cicale. Anche allora il trionfo mundial servì da palliativo. Non è solo calcio.

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