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Ciao Ciao Champions League

Juventus-Villarreal 0-3, ossia il fallimento del calcio giurassico

Giuseppe Pastore

Gli spagnoli hanno anestetizzato lo stadio intero, sorprendendosi di non trovare opposizione alla loro strategia attendista. Una partita soporifera che ha evidenziato tutti i limiti di Allegri e del suo gioco

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A caldo, quando le difese della diplomazia sono fisiologicamente abbassate, è più probabile ascoltare parole di verità. Il primo a parlare dopo la disfatta è stato capitan Cuadrado, che a un certo punto ha detto: “È difficile giocare contro queste grandi squadre”. Il Villarreal è attualmente 19° nel ranking UEFA. Il Porto, che eliminò la Juventus nel 2021, era 16°. Il Lione, che eliminò la Juventus nel 2020, era 15°. L'Ajax, che eliminò la Juventus nel 2019, era 20°. Quattro squadre molto lontane dalla top 10 del calcio europeo e che nemmeno fanno parte dei cosiddetti soci fondatori della Superlega, presunta élite illuminata che si è posta il compito di salvare il calcio europeo.

La Juventus che frana sotto i colpi di bisturi di una “grande squadra” gagliarda e organizzata, fiera espressione di una cittadina da 50mila abitanti, non è la sconfitta di tutto il calcio italiano. Anche se è facile pensarlo, e soprattutto gratis: ma ci vuole equilibrio, no? È quello che insegnano tutti gli allenatori italiani degni di questo nome: equilibrio. Appena nove mesi fa vincevamo gli Europei e il continente celebrava la rinascita persino stilistica del nostro pallone. Jorginho finiva secondo al Pallone d'Oro, Verratti era fonte d'ispirazione per tutti i centrocampisti del mondo, Chiellini un'icona che trascendeva il terreno di gioco, Chiesa e Barella la tradizione italiana che si aggiorna alle velocità del terzo millennio. Perciò Juventus-Villarreal 0-3 non è la sconfitta del calcio italiano, che pure è di nuovo escluso dai quarti di Champions League per il secondo anno di fila e tra una settimana cercherà di non rimanere fuori dal secondo Mondiale di fila. È la sconfitta della Juventus, o meglio, dell'idea di calcio che la Juventus, dopo le due sgangherate gestioni precedenti, è tornata a cavalcare con reazionaria ferocia da questa stagione. Un calcio sinceramente giurassico, all'insegna di una taccagneria che flirta con il disastro: i tanti episodi fortunati di questi ultimi due mesi, sbandierati come un inno al pragmatismo, sono stati tutti pagati a caro prezzo con uno 0-3 beffardo, sicuramente eccessivo, perché ha a sua volta sorriso al gioco altrettanto speculativo del Villarreal, in una partita soporifera che nei suoi momenti più efferati ricordava lo spettacolo d'arte varia dei ciclisti in surplace nei velodromi degli anni Sessanta, dubbiosi su chi dovesse rompere l'empasse e scattare per primo.

 

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Ma qual è la differenza? Che il piccolo Villarreal ha un allenatore, un'idea, una lunga serie di constatazioni pratiche che quei principi, con questi giocatori, sanno anche essere redditizi a livello internazionale: a maggio 2021 ha addirittura vinto un'Europa League facendo fuori Arsenal e Manchester United, impresa che alla Juventus non riesce dal secolo scorso. Infatti la condotta di gara di Emery è stata impeccabile, con i cambi migliorativi (Coquelin si è procurato il rigore, Moreno l'ha trasformato) effettuati per primo nel momento in cui aveva progettato di effettuarli, mentre Allegri macerava la squadra e sé stesso nell'attesa dei supplementari e nell'incertezza di quando far entrare Dybala, il maggiore degli equivoci tecnici e umani di questo periodo di transizione. Il costosissimo investimento su Vlahovic ha innescato un meccanismo ancora più retrivo, rendendo se possibile ancora più arida e scheletrica la fase offensiva della Juventus, come se qualcuno pensasse che, avendo comprato il capocannoniere del campionato, ormai bastasse letteralmente buttare la palla avanti per vincere le partite: e questo, incoraggiato dall'ingannevole gol di Vlahovic al trentacinquesimo secondo, è stato l'andazzo per tutta la partita d'andata dal secondo minuto in avanti, finché Vlahovic è stato serenamente e silenziosamente fagocitato dal vecchio Albiol – come del resto ieri sera, dopo la promettente mezz'ora iniziale. Il Villarreal ha anestetizzato lo stadio intero, sorprendendosi di non trovare opposizione alla sua strategia attendista: gli è andata bene perché ha trovato l'avversario ideale per far fruttare questo tipo di giochetti, una Juventus che dentro di sé si rallegrava per la totale assenza di rischi – il paradiso degli allegriani – ed è rimasta bruciata dal repentino cambio di spartito degli spagnoli.

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Rimane a futura memoria la smorfia in tribuna di Agnelli, col sigaro tra le dita, che al minuto 88 alzava sconsolato le sopracciglia: anche quest'anno è andata così. La rassegnazione con cui la Juve non ha nemmeno provato a reagire dopo lo 0-1 – contrariamente a quanto avvenuto nel 2020 e nel 2021, quando almeno si era prodotta in un confuso assedio finale – è la peggiore delle notizie, almeno in chiave europea.

Il progetto della restaurazione allegriana – se un progetto c'è – rimane debole, all'estero addirittura debolissimo, tanto che di questi tempi si fa di tutto per glorificare un quarto posto a nove giornate dalla fine – se poi avverrà la rimonta-miracolo ci toglieremo il cappello, ma al momento la fotografia è questa. Almeno tra di noi, perciò, non prendiamoci in giro: mettiamo da parte i discorsi sulla superiorità economica della Premier League, perché la Juventus ha speso come nessuna in Italia. E riponiamo i discorsi sulla superiorità tecnica della Liga, perché Allegri è l'allenatore più pagato d'Italia anche per trovare le contromosse al calcio camminato di Capoue e Dani Parejo.

 

Viene in mente un famoso scambio di battute ai tempi del Mondiale 1970, quando un giornalista belga – irritato dal gioco micragnoso degli azzurri di Valcareggi, capaci di vincere il girone con un solo gol segnato in tre partite – apostrofò in tribuna stampa Gianni Brera: “L'Italia non è una squadra, è una cassa di risparmio!”. Mezzo secolo dopo non scambiamo per sagace senso pratico ciò che è mero cinismo, portato avanti a colpi di squillanti 1-0 con lo Spezia: per carità, non è mica illegale giocare male e per di più goderne, ma si sappia che nel 2022 in Europa poi si fa questa fine qui. A una settimana dai play-off che siamo condannati a vincere, consentiteci un avviso ai naviganti: il nostro amato e odiato calcio – poverello, mal amministrato, disertato dai campioni, maltrattato oltre confine – non si risolleverà per magia a colpi di corto muso.

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