Il Foglio sportivo - il ritratto di bonanza

Il dubbio amletico di Allegri

Alessandro Bonan

L'allenatore crede troppo in sé stesso oppure si trova ad allenare una squadra modesta? Nella Juventus ormai si trova poco in difesa e pochissimo a centrocampo. Il resto sono abbozzi di qualcosa, nulla di definitivo

Potrebbe essere controproducente amare il prossimo come se stessi, se il proprio ego è cresciuto a dismisura. Il rischio è di rendere l’avversario un gigante. E’ il pericolo che corre un allenatore vincente quando si spinge oltre il proprio ruolo, credendosi il deus ex machina di ogni successo. È questo il problema di Allegri al suo ritorno in panchina dopo due anni di inattività? Oppure, semplicemente, il livornese si trova ad allenare una squadra modesta? 


Di primo acchito verrebbe da scegliere la seconda risposta, considerando Allegri un uomo troppo intelligente per cadere nella trappola del mito di se stesso. E del resto, un allenatore deve possedere forti convinzioni nell’esercizio delle sue funzioni, altrimenti cade al primo alito di vento. La domanda infatti va spostata di un grado: Allegri è ancora convinto del calcio che propone? A vedere la Juventus sia di Coppa che di campionato, non sembra, visto che la squadra gioca male e perde spesso. L’impressione è quella di un gruppo indeciso sul da farsi: andare avanti, tornare indietro, guardarsi alle spalle, puntare al futuro. Sembra di stare in mezzo all’amletica domanda tra essere e non essere. Un territorio desertico dove l’incertezza provoca un vuoto, un blocco del discorso. 


La Juventus di questi tempi è come un ragionamento senza un filo logico, che si interrompe a metà e poi riprende, magari con qualche frase a effetto, una parola bella, a cui segue una conclusione affrettata. Allegri non spiega più di tanto, si limita a mantenere uno sguardo rassicurante e questo è apprezzabile, perché non deve essere facile mantenere il controllo dei nervi. Avrebbe bisogno di una risposta in campo, un po’ di aiuto. Trova poco in difesa, ma solo con i grandi vecchi, e pochissimo a centrocampo con l’unico che sembra lucido: Locatelli. Il resto sono abbozzi di qualcosa, ma nulla di definitivo. 


Rabiot è una giraffa senza collo, non serve nemmeno per il fisico, e Bentancur la promessa di una battaglia perduta già in partenza. Dybala è il migliore quando la palla è più vicina all’area, cosa che non accade spesso. Morata, che a calcio sa giocare, è troppo educato per urlare, e Chiesa non si piglia con chi un po’ gli somiglia per grinta e sfrontatezza, lo stesso Allegri. Di fronte all’Atalanta, l’esatto opposto bianconero per chiarezza, la Juventus gioca per ritrovare la fiducia che non c’è, l’identità che ancora le manca. Buttare nella mischia un po’ più di coraggio le darebbe quanto meno un colpo di autostima. A prescindere dal risultato, perché un’altra vittoria fatta soltanto di difesa e contropiede magari serve a niente. O a tutto, chi può dirlo. Basta decidere che cosa si vuole fare: tornare indietro per ricordare i tempi belli, o guardare avanti alla ricerca di un mondo nuovo da scoprire.

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