Adriano Leite Ribeiro, il 18 settembre 2004 contro il Palermo (Marco Lussoso / LaPresse)

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Nessuno in Serie A ha più calciato forte come Adriano

Fulvio Paglialunga

Ma non è stato un gol, è stata una traversa: quella tramortita esattamente 17 anni fa durante Inter-Palermo. Parla Guardalben, il portiere di quel giorno: "Nemmeno io ho visto quel tiro, ho solo sentito un rumore fortissimo"

Quando Eric Cantona, nei panni di sé stesso nel film di Ken Loach “Il mio amico Eric”, comincia un dialogo serrato sulla bellezza del calcio con Eric Bishop – l’impiegato delle poste britanniche che lo venera –, questo lo sommerge da una quantità di gol raccontati dal suo tifoso particolare, e ogni volta alza un sopracciglio. Fino a quando Bishop, gioiosamente esasperato, gli chiede “il momento più bello di tutti?”. E ricomincia con tutti i gol bellissimi che ricorda a memoria. È lì che Cantona lo spiazza: “Non è stato un gol, è stato un passaggio”. E butta fuori una descrizione poetica di un passaggio a Denis Irwin contro il Tottenham come “un’offerta al grande dio del calcio”.

 

Se interrogassimo la Serie A, chiedendo insistentemente qual è il tiro più forte che abbia mai visto sui suoi campi potremmo, come il postino che sognante tartassava Cantona, tirare fuori un elenco lunghissimo di gol, di palloni calciati con violenza e finiti in porta, con nome e cognome del calciatore, minuto esatto e partita per poi sentirci rispondere: “Non è stato un gol, è stata una traversa”.

Lode, quindi, alla traversa di San Siro, capace di resistere proprio un 18 settembre come questo, ma del 2004, al tiro più potente della storia del calcio italiano: quello di Adriano Leite Ribeiro, detto Adriano, soprannominato l’Imperatore, in Inter-Palermo. Centoquaranta chilometri all’ora, fuori legge per il codice della strada, un movimento semplice di un brasiliano giovane, che dicevano fosse in grado di far male con il sinistro, ed era una minaccia, non un modo di spiegare la potenza con cui poteva calciare. Adriano, talento naturale sovrastato alla lunga dalle proprie debolezze, aveva ancora la testa a posto e le gambe più potenti forse di chiunque. La descrizione esatta è di Daniele Manusia, nel libro “Le cadute dei campioni”: “Se tutti i prodigi sportivi più vistosi somigliano a fenomeni naturali, il talento di Adriano all’inizio faceva tremare la terra sotto i piedi degli avversari come un’onda sismica”.

Fu un fenomeno naturale anche quel tiro, scagliato davanti a quasi settantamila spettatori. Adriano aveva perso il padre da poco più di un mese – episodio che poi sarebbe diventato il buco nella sua anima, come ha raccontato a The Players’ Tribune –, aveva ventidue anni e la gamba sinistra come un’arma. Non molti si resero conto di quanto accaduto, in presa diretta, quel giorno, perché fu tutto troppo veloce: contro il Palermo che in difesa aveva Barzagli, Zaccardo e Grosso e in attacco Toni – poi eroi di Berlino nel 2006 – si portò il pallone avanti, partendo di spalle, solo con un tocco, poi vide lo spazio libero anche se era distante una trentina di metri dalla porta e tirò. Non è riproducibile con un’onomatopea il rumore della traversa, ma fu quello che fece sobbalzare San Siro e che se volete potete sentire anche voi nitidamente, nonostante il sottofondo del pubblico e la voce del commentatore, cercando in rete quel momento. Vedrete un corpo che si muove in perfetta coordinazione, si inclina un po’ e il pallone che va quasi più veloce della telecamera che cerca affannosamente di inquadrarlo. Sentirete il suono di qualcosa che si rompe (ma la traversa, pur colpita durissimo, rimase lì) e vedrete il pallone tornare indietro lontanissimo, sulla trequarti.

 

Nemmeno io ho visto quel tiro, ho solo sentito un rumore fortissimo. E con tutta quella gente non era normale sentire un rumore così, non poteva essere accaduto qualcosa di normale. Ma per capirlo ho dovuto guardare le immagini in tv”: a raccontarmi un momento quasi di terrore è Matteo Guardalben, che di quel Palermo era il portiere e che fu sorvolato da ciò che sembrava un oggetto non identificato in una frazione di secondo. Poi scoprì essere il pallone calciato da Adriano, mentre lui era sul limite dell’area piccola, perché i tiri degli umani si parano stando in quella zona di campo: “Di solito, quando colpisce la traversa cade vicino al portiere, in quel caso andò lontanissimo e questo dà l’idea della potenza. Quel tiro è una delle cose che mi porto sempre dietro: ogni tanto rispunta sui social da qualche parte e mio figlio me lo invia. E dire che noi ci allenavamo per i tiri di Adriano, eravamo pronti alla sua potenza. Ma in quel caso si superò, e ho paura di come tirerebbe con i palloni di oggi, che sono più leggeri. Già noi pregavamo a ogni sua punizione che non ci facesse male, forse ora sfonderebbe la porta”. Quella partita finì 1-1 e Adriano fece comunque gol (il pareggio fu di Luca Toni), ma da ricordare rimane ciò che gol non diventò.

In diciassette anni nessuno ha tirato così forte in Serie A. Nel mondo qualcuno ha fatto anche di più (Koeman segnò alla Samp in finale di Coppa dei Campioni con una punizione a 188 chilometri all’ora, il record è di Ronny Heberson, un altro brasiliano, con 221 chilometri all’ora, nel campionato portoghese), ma Adriano rimane tra i primi. Senza aver fatto gol, come Cantona quando parla di sé nel film e sorprende il suo amico Eric. Qui non c’è un portalettere con cui confidarsi, ma se passate da San Siro fate una carezza alla traversa. Quel giorno se l’è vista brutta.
 

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