Non fosse stato per Wojciech Szczesny

La Juventus ha pareggiato al debutto stagionale per 2-2 contro l'Udinese. Allegri si trova alle prese con il problema di un portiere in crisi e gli aiuti che non possono arrivare dal mercato

Giuseppe Pastore

Abituati al pigro ripetersi dei cicli, dei corsi e dei ricorsi, delle stagioni, delle ondate e a un certo punto pure dei lockdown, avevamo tutti ampiamente dato per archiviata Udinese-Juventus, già cristallizzata sul più allegriano degli 0-2 già al 23° del primo tempo. Che il calcio riesca ogni volta a trovare il modo di sorprenderci, è una lezione che dimentichiamo sempre: e deve averla sottovalutata anche il più cinico, pragmatico e fatalista dei filosofi contemporanei alias Massimiliano Allegri, che ha sottovalutato, ha dato per scontato, forse ha anche pasticciato nella gestione non impeccabile dei cambi, nella prima gara in carriera in cui poteva farne fino a cinque. È questa la grande svolta impressa al calcio dalla pandemia: il fatto che quasi sempre, tra il 60' e il 65' inizi bruscamente e senza preavviso un'altra partita.

Righe che sarebbero mero esercizio stilistico, se non fosse stato per Wojciech Szczesny. La Juventus ha lasciato a Udine due punti imperdonabili, con una serie di sventatezze stilistiche e sostanziali e con il veleno nella coda di quel pastrocchio in costruzione dal basso che è da anni il pomo della discordia filosofale tra risultatisti e belgiochisti. Pura fuffa da martedì mattina, se non fosse stato per Wojciech Szczesny.

Allegri è un praticone: sa bene che ad agosto i problemi di tenuta fisica e mentale sono aria fritta, mentre invece un portiere in crisi strutturale è affare ben più serio. Alla Dacia Arena Szczesny ha rimediato il primo 4 in pagella della sua carriera in Serie A, ma i tifosi – che solitamente, come i giocatori di poker mediocri, si ricordano solo delle mani perse e mai di quelle vinte – dimostrano di aver perso la pazienza già da un pezzo, essenzialmente a causa di quelle tre défaillances tra marzo e aprile che costarono alla Juve l'eliminazione in Champions dal Porto e un 2-2 nel derby che fu interpretato come l'estremo saluto al decimo scudetto consecutivo. Tre gol in cui il polacco condivise le orecchie d'asino con tre colpevoli diversi: Bentancur nell'andata a Oporto, poi Ronaldo (con la famigerata torsione in barriera sulla punizione di Sergio Oliveira) nel ritorno allo Stadium, infine Kulusevski contro il Toro. I due errori di Udine, molto diversi tra loro ma altrettanto rivelatori di un certo disagio, hanno definitivamente scardinato il lucchetto che tutti noi immaginiamo per l'eternità sulla porta bianconera. Un portiere insicuro è un bel problema già in generale: alla Juventus, è peccato mortale.

 

Il penultimo portiere titolare straniero della Juve è ormai vecchio di vent'anni, quell'Edwin van der Sar che, prima di riscattarsi in un'eccellente finale di carriera al Manchester United, si congedò dal nostro campionato con la nomea della calamità naturale. Al di là delle due sfortunate partite contro Perugia e Roma che costarono due scudetti alla Juve di Ancelotti, di lui si ricorda una nottataccia contro la Lazio, nel novembre 2000, quando commise un errore inspiegabile su un tiraccio centrale di Salas e si ritrovò oggetto del suggerimento più umiliante che possa esserci per un portiere, quando gli avversari si guardano e si dicono: “Appena puoi, tira in porta”. Se ne scrissero di ogni, si sospettò che l'olandesone fosse miope e che il rendimento ne risentisse nelle gare in notturna, quando invece era semplicemente appesantito dall'ansia di un ambiente che non ha mai ammesso né concesso sbavature (“vincere è l'unica cosa ecc. ecc.”), specialmente se dietro di te non hai compagni, ma solo la porta vuota. A surriscaldare ulteriormente un ambiente già irritato dal -2 dal primo posto a sole trentasette giornate dal termine, anche il lato estremamente ironico e autoironico di Szczesny, un polacco brillante e scanzonato che non ama le ipocrisie delle auto-fustigazioni a mezzo social. La Juve dovrebbe cogliere la palla al balzo e sostituirlo d'imperio, essenzialmente con il primo che passa, dicono quelli fermi al mercato pre-Covid. Ma la questione è più complessa, a cominciare dal fatto che non c'è una lira.

Lo suggerisce il fatto che sia tornato secondo portiere Mattia Perin, di ritorno a Torino dopo un anno e mezzo, dopo aveva fatto male da vice-Szczesny, senza le spalle abbastanza larghe per reggere un'intera stagione da eventuale titolare. Il terzo portiere Pinsoglio, che non gioca seriamente dal 2017, è essenzialmente la dama di compagnia di Ronaldo. Perin fa parte di quegli esuberi di cui la Juve si sbarazzerebbe volentieri, da Rugani su su fino a Sua Maestà il Principe di Madeira, se non fosse che hanno stipendi proibiti per la concorrenza (nel caso di Perin, 2,3 milioni per l'ultima stagione che gli rimane da giocare in bianconero). Anche Szczesny, del resto, non piglia noccioline: circa sette milioni fino al 2024. Leggere di “rimpianto Donnarumma” fa sorridere: sarà anche vero che la Juve l'avrà trattato a lungo, ma un esborso da almeno 60 milioni tra ingaggio lordo e lauta commissione a Raiola era evidentemente fuori budget per una società che ha fatto una fatica del demonio a trovare la quadra per Locatelli, ottenuta solo grazie a una formula di pagamento super-dilazionato. Le nequizie economiche degli ultimi anni di Paratici, naturalmente avallate dalla proprietà, presentano dunque il conto nelle maniere più subdole e fantasiose, in una palla non trattenuta su tiro di Arslan, in un flipper Okaka-Deulofeu inizialmente vanificato da un fuorigioco che poi s'è scoperto inesistente, in un corto-muso di Ronaldo per una volta beffato dalle stelle, invece del solito “siuuuu” refrain per tutte le stagioni.

 

La Juventus di Allegri, monumento vivente al cinismo fatto squadra di calcio, si scopre di colpo vulnerabile in un pomeriggio di fine estate in cui – paradosso dei paradossi – ha persino giocato bene, ritrovando vecchi amici (da Dybala a Bentancur) mortificati dagli infortuni e dalla gestione precedente, sprecando a ripetizione il colpo del 3-1 con la leggerezza mentale di chi era abituato a pensare “ma figurati se questi pareggiano”. I ben informati bisbigliano che Allegri non fosse particolarmente entusiasta di Donnarumma: dunque la strada è segnata e si andrà avanti senza incertezze sull'ondivago polacco che però, in questa Juve della restaurazione in cui al centro della scena si stanno riportando nuovi italiani da Chiesa a Locatelli, è ora dichiaratamente un portiere straniero. Non solo nel passaporto, ma anche nello stato d'animo. Dunque avulso, estraneo alla Juventus. La solit-Udine dei numeri uno.

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