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Dietro il ritiro. Tutta l'umana grandezza di Simone Biles

Roberto Perrone

"Devo badare al mio stato mentale, non mi diverto più". La confessione totale di una delle protagoniste più attese delle Olimpiadi può fare breccia nell'enorme universo dell'ansia da prestazione sportiva. I fuoriclasse si misurano anche davanti a un forfait

Aveva confessato alla NBC prima di partire per l'Olimpiade: "Per il corpo di una ginnasta un anno equivale a cinque di un'altra persona”. È questa, forse, la vera ragione per cui Simone Biles, quattro volte oro a Rio de Janeiro e prima ginnasta della storia ad aver vinto cinque titoli Mondiali nel concorso individuale, si è ritirata dalla competizione a squadre a Tokyo 2020. Il suo addio, da un punto di vista tecnico, è costato il titolo alla squadra Usa (argento dietro la Russia che non esiste come nazione nel medagliere, non ha bandiera, né inno, ma i cui atleti vincono, eccome) ma a lei l'ennesima sconfitta nella sfida al destino cominciata da bambina. Il suo ritiro, all'inizio trattato come un infortunio fisico, si è invece rivelato come il risultato di una fragilità psicologica, di una difficoltà a ritrovare le motivazioni, l'attaccamento allo sport con un anno in più, 24, rispetto a quelli con cui pensava di rimettersi in gioco all'Olimpiade.

 

Figlia di una drogata e alcolista, a cinque anni è stata adottata dai nonni, insieme con la sorella. Di lei, Nadia Comaneci, ha detto: "Se nasci ricco, tante cose sono garantite, ma non l’oro olimpico. Con quell'inizio della sua vita, volete che Simon Biles non abbia capito che la vita non è perfetta?". No, lo sa benissimo. Negli ultimi cinque anni si è rotta una costola, un dito di un piede, forse due e ha vinto i Mondiali con un calcolo renale. Ancora Comaneci: "Lei è un ragnetto potente che salta ovunque, sembra che tutto le venga facile, ma per questo si allena 32 ore a settimana. Senza disciplina non c’è perfezione. Io la disciplina l’ho subita e maledetta".

 

Eh già, sulla ginnastica femminile c'è un'ampia letteratura sportiva. Spesso nera, tra abusi, soprusi, allenamenti spinti all'eccesso. Però quello che è certo è che è uno di quegli sport dove non esiste la vecchiaia e tutto si brucia in fretta. A 24 anni non sei solo un veterano, sei anziano. Simone Biles era qui perché "la ginnastica non è l'unico motivo per cui dovevo tornare, l’ho fatto per essere una voce". Una voce per le ragazze afroamericane. "Sapere che ginnaste come me e Gabby Douglas, tenniste come Serena Williams o ballerine Misty Copeland ce l’hanno fatta, significa far capire a loro che possono fare ed essere tutto ciò che vogliono".

 

Voleva essere la donna copertina di questi Giochi, non voleva diventarlo per se stessa, è tornata in primavera a gareggiare dopo 587 giorni di lockdown. Voleva esserci a Tokyo, oltre le proprie paure. Ma anche le motivazioni più grandi, più importanti, con più valori, alla fine si scontrano con la nostra fragilità di esseri umani. "Devo concentrarmi sul mio stato mentale e non mettere a repentaglio la mia salute e il mio benessere". La sua è una confessione profondamente umana, di una sincerità assoluta. Simone Biles, non nasconde nulla, altro che caviglia destra dolorante. "Non ho più fiducia in me stessa come prima. Forse è una questione di età, ma in pedana ora sono più nervosa e non mi sto divertendo più come prima. Questa è l'Olimpiade, ci tenevo. Ma quando salgo in pedana sono sola con la mia testa e lì incontro i demoni con cui devo confrontarmi".

 

Voleva esserci, ma, ed è la rivelazione decisiva "in realtà sto partecipando per altri, più che per me". Questo è il grande spartiacque dello sport e della vita in genere. Quando ti senti trascinato, estraneo a te stesso, non io ma altro da te. Allora, malgrado il sogno, il desiderio, la copertina che ti attende, meglio fare un passo indietro. Anche questa è grandezza. E ora resta da capire se tornerà, se si presenterà ad altre gare. Comunque sia, Simone Biles ci ha insegnato qualcosa e cioè, parafrasando De Gregori, che lo sport è bello, ma che fa male.

 

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