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Ode a Chiellini

Daniele Mencarelli

Il capitano è tutto ciò che separa la narrazione del calcio dal calcio in carne e ossa, spesso rotte

Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, Giorgio Chiellini non sfigurerebbe in un confronto all’americana. Non bello. Antipatico anche quando vuole fare il simpatico. Diciamolo. Esteticamente rivedibile. Il naso ingombrante, la testa povera di capelli, gli occhi piccoli, troppo piccoli.
Chiellini sta alla bellezza italiana come il caffè solubile all’espresso.

Anche sul piano del glamour, stendiamo un velo di silenzio. Anzi no. I suoi colleghi calciatori ostentano tatuaggi ovunque, acconciature dadaiste, stili di vita da rockstar sull’onda. Spendono e spandono, tutto a favore di macchina fotografica. Lui nulla di tutto questo.  Visto per strada, senza sapere che Chiellini è Chiellini, lo potremmo prendere per un magazziniere a fine turno, un macellaio oppure un muratore.

Al massimo un impiegato d’azienda che sogna un’altra vita. Anche calcisticamente non ha l’eleganza del grande difensore, la tecnica è ampiamente rivedibile, sul campo da calcio non spicca di certo per eleganza. Diciamocelo, in franchezza, e che il Chiello non se n’abbia a male, parliamo di un marcatore di quelli di una volta. Un canaccio che s’attacca al suo avversario e gli ruba anche l’aria che respira.

Un canaccio. Chiellini è tutto quello che separa la narrazione del calcio dal calcio in carne e ossa, spesso rotte. E’ rude, battagliero, sa usare ogni strumento che madre natura gli ha concesso a suo favore. E’ rabbia fatta takle, è l’anticipo che supera la soglia dell’ossessione. Quando entra in campo vuole solo una cosa, una soltanto, che l’attaccante che gli è toccato in sorte esca dal campo a fine partita senza aver capito come e perché gli fa male ogni parte del corpo senza aver mai toccato un pallone.

Chiellini è il Giacomo Leopardi dei marcatori. Ma il nulla infinito è quello che tocca alle punte avversarie. Mentre lui, con il suo sorriso banditesco, la faccia da pugile suonato e risuonato, sorride e ti abbraccia, con le mani ancora sporche di vasellina. Perché dove non ci arriva con il gioco, la tecnica, ci arriva con l’astuzia, perché il calcio è e sarà per sempre ben più di uno sport e per vincere la mente conta come i piedi.  Chiellini è italiano come Garibaldi. Più di Garibaldi. E’ la prova vivente che se ci mettiamo in testa una cosa ti puoi chiamare anche Lukaku o Kane ma da questo rettangolo verde uscirai con zero, zero, da raccontare ai tuoi nipoti. A parte gli incubi. Marcare come Giorgio Chiellini è un’arte in via d’estinzione. Oggi si marca a zona, il difensore più che difendere deve saper costruire, perché il gioco si costruisce dal basso. Tutto vero. Bellissimo.

Poi c’è la realtà e senza Giorgio Chiellini non staremmo qui a scrivere pezzi su pezzi, a festeggiare da italiani che si fregiano di esserlo solo quando si vince qualcosa. Perché il tiro a giro di Insigne, le sassate precise di Chiesa, senza guardiani della porta servono a poco. Senza sentinelle pronte a sputare anche l’anima. E Chiellini è proprio questo, una sentinella pronta a morire per la porta che protegge.

Niente bellezza da ostentare, niente taglio o colore di capelli diversi a ogni partita. Giorgio Chiellini fa quello che fanno meglio gli italiani quando amano veramente qualcosa. Proteggono. Con la bava alla bocca.

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