PUBBLICITÁ

La vittoria a cronometro di Pogačar è un'ottima notizia per il Tour de France

Giovanni Battistuzzi
PUBBLICITÁ

Se Tadej Pogačar vince pure le cronometro per lo più pianeggianti c’è più niente da fare per nessuno. Un pensiero del genere è venuto in mente a molti alla conclusione della prova dello sloveno nei dintorni di Laval. Primo a quasi cinquantuno di media e con in saccoccia 44 secondi su Primoz Roglic, oltre un minuto su tutti gli altri corridori che hanno ancora il sogno della maglia gialla, quella che continua a vestire Mathieu van der Poel, che oggi l’ha salvata per otto secondi (chiudendo quinto a 31”).

PUBBLICITÁ

L’otto è il numero ricorsivo di queste prime cinque tappe del Tour de France. Otto sono i secondi che Julian Alaphilippe ha rifilato ai primi inseguitori nella prima tappa, otto i secondi che l’olandese aveva di vantaggio sul francese dalla seconda alla quarta. E otto sono rimasti anche oggi.

Il fatto che Tadej Pogačar abbia vinto pure una cronometro per lo più pianeggiante è una buona notizia per il proseguo di un Tour de France che sembra aver già chiaramente messo in chiaro i rapporti di forza in gruppo alla prima tappa contro il tempo.

Eppure quello che sembra palese, palese non lo è affatto. Perché Pogačar ha sì vinto a Laval, ha sì raggranellato sinora 40 secondi ad Alaphilippe, 1’21” a Uran, 1’36” a Carapaz, 1’40” a Roglic, 1’46” a Thomas, e via così, ma parte di questo vantaggio è frutto anche di alcune cadute, botte al fisico che serve tempo per smaltirle e che possono trasformarsi in botte al morale da dare e non solo da subire.

PUBBLICITÁ

Se l’otto è stato il fil rouge da Brest a Laval, potrebbe esserlo ancora nei prossimi giorni. L’ottava tappa del Tour de France condurrà a Le Grand-Bornand, prima frazione alpina, prima banco di prova per capire non tanto la forza dello sloveno, quella è nota ed è straordinaria, ma la volontà di reagire degli avversari. È attorno a questa che la Grande Boucle si dipanerà, anche perché sono in molti a non volere assistere a una corsa tra sloveni. Pogačar e Roglic sono i più forti in gruppo, sino alla caduta della terza tappa del secondo era apparso chiaro, ma di talento e spregiudicatezza in giro ce n’è molto.

E di carte inattese che potrebbero rilevarsi decisive ce ne è più di qualcuna.

A partire da Jonas Vingegaard, luogotenente di Roglic alla Jumbo-Visma, terzo oggi nella cronometro. Il danese contro il tempo ci sa fare, in salita va ancora meglio. E Pogačar questo lo sa bene. Al Giro dei Paesi Baschi verso il traguardo di Arrate non è riuscito a staccarselo di ruota, all’UAE Tour l’ha visto scappare via (ma era primo in classifica e non aveva senso inseguirlo), nel 2018 alla Grand Prix Priessnitz spa (corsa per under 23) l’aveva messo in seria difficoltà in salita. Difficile che Vingegaard possa ambire a un ruolo di capitanato, ma potrebbe essere una delle variabili impazzite che potrebbero scombussolare i piani.

L’altra variabile è l’Ineos, o meglio i piani futuri di Richie Porte, Geraint Thomas, Richard Carapaz e Tao Geoghegan Hart. Tutti e quattro sanno benissimo di essere al momento inferiori rispetto ai due sloveni. Sanno però altrettanto benissimo che a rendere la corsa un inferno può sempre accadere che i migliori cadano in qualche trappola. Ci stava cadendo pure Eddy Merckx al Tour de France del 1971 preso in mezzo al gioco disperato di Luis Ocaña e compagnia, figurarsi se possono fare un passo falso un ragazzo al terzo anno tra i professionisti (ma con una maglia gialla già portata a Parigi) e un corridore che più di una volta si chiamato addosso da solo la sfortuna.

Il Tour oggi ha detto che Pogačar è il più forte, e lo è davvero. Soprattutto ha tolto a tutti gli alibi di giocare in difesa e aspettare la penultima tappa (seconda cronometro). Gli elementi affinché questa Grande Boucle continui a essere una delle corse più spettacolari degli ultimi anni ci sono tutti.

PUBBLICITÁ
PUBBLICITÁ