Foto LaPresse - Fabio Ferrari

Euro 2020 - L'intervista

Giaccherini, quasi eroe nel 2016: “Non nascondiamoci, siamo forti”

Francesco Gottardi

L’ultimo eurodebutto degli Azzurri? Nel segno del jolly di Conte: “La nostra è una storia di sorprese. Berardi può essere la prossima”

Giak, si gira. Per generazioni l’azzurro è stato l’abito da sera del “tutto è possibile”: abbracci e bandiere, problemi in standby, almeno per mezza estate. L’ultima nel 2016. Davanti a 55mila persone, contro un Belgio fortissimo ma un po’ fighetto: zitti e buoni, segna Emanuele Giaccherini, che fino a 24 anni giocava in Serie C, pensava di smettere e fare l’operaio. E oggi? “Tiferò i nostri dal divano, in vacanza”, dice il centrocampista al Foglio. “Non credevo che l’onda emotiva di quel gol potesse durare fin qui. Ma dopo quel fantastico Europeo sappiamo cos’è successo”. Fallimento tecnico più pandemia, un digiuno nazionale lungo un lustro. Stasera l’Italia riparte. E da Conte a Mancini, raccoglie il testimone di una spedizione piena d’orgoglio: “Nel segno dello spirito di gruppo. Un valore fondamentale, che in Francia ci fece sopperire al gap tecnico con le big. Ora rivedo quell’alchimia. Ma abbiamo più qualità, non nascondiamoci: questa Italia è tra le favorite. Ed è un piacere vederla giocare”.

 

Giaccherini ha 36 anni, è reduce da una stagione al Chievo costellata di infortuni – poi ci torniamo – e fa l’in bocca al lupo ai vecchi compagni: “Ho scritto a Chiellini. A De Rossi: per lui, nello staff di Mancini, sarà un Europeo molto particolare. Non dimenticherò mai di come ci salutò nell’ultimo”. Rewind. L’Italia vince il girone in due partite, doma la Spagna agli ottavi, sfiora l’ennesima impresa contro la Germania. Giak il suo rigore lo segna, ma non basta. “Piansero tutti. Buffon, Conte, Lele Oriali. Non è facile costruire una squadra con così tanto piacere di stare insieme. Anche nei giorni liberi: a pranzo, i bagni in spiaggia”, nel ritiro di Montpellier. “Finì ai quarti. Ma la dimensione ce la diede Daniele: io un Mondiale l’ho vinto”, gli confessava De Rossi. “Però la mia esperienza più importante sarà sempre Euro 2016”. Con ouverture di Giaccherini: “Sì, quel gol al Belgio riassume un po’ tutta la mia carriera”. Esecuzione da scuola calcio, più che assolo del fenomeno: lancio millimetrico di Bonucci, perfetto stop a seguire e… “E a quel punto segnare era la cosa più facile. Ma quanta preparazione, dietro: in amichevole mi erano capitati inserimenti simili. Avevo provato a calciare di prima, male. Allora Conte mi diede il consiglio giusto. La partita dopo capii, in una frazione di secondo”. Istinto preparato. “Chiaro no? Tutto quello che mi ha fatto arrivare lassù è l’allenamento. Il non accontentarsi mai”.

 

È vera la storia del lavoro in fabbrica? “Già. Venivo da un’ottima stagione al Pavia, mi aspettavo qualcosa dal Cesena ma all’inizio ero fuori rosa: stavo per arrendermi. Poi come in tutte le favole è arrivata la mia chance. Bisoli mi nota, chiede il mio reintegro. E da lì…” Il doppio salto fino alla A, il gol contro il Milan – “tutti aspettavano la prima di Ibra: invece eccomi, ci sono anch’io!” – e quello da tricolore con la Juve: “Allo scadere, sul Catania. Ancora oggi i tifosi mi fermano per strada e mi ringraziano. Ma ci pensate, dopo nove scudetti?”. Il protagonista all’improvviso: una storia all’italiana. “Siamo un paese che vive di calcio, che carica di pressione. Così il campione ha sempre gli occhi puntati addosso. Anche in Nazionale. Chi invece è partito dal basso, a fari spenti, spesso ha fatto centro”. Pablito, Grosso, Giaccherini. Il prossimo? “Berardi. Ha il profilo giusto, ora è pronto. L’Italia di Mancini avrà bisogno di qualche sorpresa. Anche perché i Baggio, Totti o Del Piero non ci sono”.

 

E non se ne vedono all’orizzonte. “Ma volete sapere una cosa?”. Prego. “Nei momenti clou conta l’uomo più del talento. E’ così che Conte mi faceva sentire importante, alla Juve come in azzurro. Eravamo affiatati su tutto: nessuno mi ha dato più di lui”. Non è un caso se oggi il giocatore, en passant sull’Inter campione d’Italia, cita solo D’Ambrosio e Darmian: “La dimostrazione che non serve essere titolari per lasciare il segno. Una fiducia che con Sarri non ho più sentito, quando andai al Napoli con entusiasmo dopo quell’Europeo”. Sono passati cinque anni anche per Giak, in dolce planata. “Chiesi subito la cessione. Al Chievo mi presero sul serio e arrivò una bella salvezza. L’ultima”. Poi la Serie B, gli acciacchi divenuti infortuni pesanti. E adesso? “Ho il contratto in scadenza: mi prendo questo mese per guardarmi attorno. Magari salta fuori qualche opportunità che mi stuzzica. Ma potrei anche smettere: ho una famiglia, tre figli. Finora ho sacrificato tanto per il calcio. Mi piacerebbe comunque rimanerci, vedremo in che veste”.

 

Mettere insieme i pezzi è la specialità nascosta di Emanuele: “Puzzle! Ne ho appena finito uno da 8.000. Poi anche tennis, bici, a funghi nel bosco. I passatempi per riflettere non mi mancano”. Ora anche gli Azzurri in tv. “Allora chiudo gli occhi e ripenso alla grande bellezza: Pirlo che riceve palla e senza nemmeno toccarla salta tre giocatori con una finta di corpo”. Euro 2012, 2-1 sulla Germania. Giak quella notte osservava dalla panchina: “Mi resi davvero conto di vivere un sogno”. Per dare forma a quello degli altri, ci sarebbero voluti altri quattro anni. E un magico stop. Avanti il prossimo, Italia.

 

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