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Bologna torna capitale del basket italiano. La Virtus vince lo scudetto

Umberto Zapelloni

In una settimana la città felsinea ha ribaltato la pallacanestro contro un’Olimpia che solo quindici giorni fa era arriva ad un soffio dal trionfo Europeo

L’attesa è stata lunga, lunghissima e ha previsto anche un’andata e ritorno dall’inferno. Ma forse proprio per questo la festa della Virtus Segafredo è ancora più dolce e più grande. Il sedicesimo scudetto della Virtus è probabilmente anche il più inatteso. Soprattutto per il modo trionfale in cui è arrivato a Bologna: un 10-0 nei playoff che soltanto la Siena mangia tutti era riuscita a infilare. La Virtus vince anche gara quattro (73-62), soffre un po’, ma non più di tanto. Dopo il 6-0 con cui era partita l’Olimpia una settimana fa al Forum, la Virtus ha preso il comando delle operazioni e non le ha più mollate finendo in trionfo davanti ai suoi tifosi.

In una settimana Bologna ha ribaltato il basket italiano contro un’Olimpia che solo quindici giorni fa era arriva ad un soffio dal trionfo Europeo. Nelle quattro partite di finale, invece, quell’Olimpia non si è mai presentata. La squadra griffata Armani vista a Colonia, si è vestita di stracci per la finale italiana e non è mai entrata davvero in partita per il titolo. Partiva da favorita, ha chiuso nel peggiore dei modi, svuotata da energie e di idee, sballottata come un relitto tra le onde. Difficile capire che cosa sia capitato all’Olimpia passata da una campagna europea entusiasmante a una delusione italiana che fa rima con fallimento perché è difficile definire diversamente una stagione in cui ha raggiunto le semifinali di Euro Lega, ha vinto Supercoppa italiana e Coppa Italia, ma è caduta in campionato dove lo scudetto manca ormai dal 2018. La maledizione dei numeri dispari continua per la Milano targata Armani. Adesso Messina che, ironia della sorte, era stato l’ultimo coach a festeggiare uno scudetto sulla panchina della Virtus, dovrà raccogliere i suoi pensieri e capire perché la squadra è arrivata senza una goccia di benzina a disputare gli ultimi giri di pista. Certo 91 partite sono tante. Troppe (la Virtus si è fermata a 70), ma Milano aveva praticamente due squadre e se in rosa hai un capitano che vede il campo solo nell’ultima partita e una serie di giocatori italiani che non hanno saputo fare la differenza, forse sai già da dove devi cominciare per riprovarci.

Sarebbe però ingiusto leggere l’esito della finale scudetto soltanto sottolineando le colpe dell’Armani. Perché prima di tutto bisogna esaltare la prestazione di una Virtus Segafredo arrivata a giocarsi quattro partite della vita una dietro l’altra. Quando Massimo Zanetti decise di investire sul basket promise lo scudetto in cinque anni. È stato di parola. E senza la sospensione per Covid dello scorso campionato forse avrebbe addirittura già festeggiato. La Virtus è stata cattiva in difesa, fisica a tutto capo, precisa in attacco, più reattiva a rimbalzo e sulle palle vaganti. Insomma migliore in tutto e per tutto. Merito di Djordjevic che ha caricato i suoi con lo spirito giusto e non ha mai avuto esitazioni nelle scelte al contrario di Ettore Messina che nella serie finale non è mai riuscito a ribaltare l’inerzia, troppo passivo rispetto a quanto ci aveva abituato la sua storia. La differenza l’ha fatta il talento infinito di Teodosic, ma non solo quello. L’hanno fatta l’energia di Markovic, Weems, Gamble, Hunter, ma soprattutto la qualità messa in campo dagli italiani di Bologna: Belinelli, Ricci, Pajola, ma anche Alibegovic e un Abbass con tanta voglia di vendetta contro chi l’aveva scartato. La Virtus ha disputato i playoff perfetti che neppure il più acceso dei tifosi poteva mai immaginare. Lucio Dalla ci avrebbe scritto una canzone. Anche se questa serie finale ha ricordato tanto il Gigante e la bambina. Senza dover specificare chi abbia giocato da gigante…

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