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Il Foglio sportivo - storie di storie

Il Giro d'Italia è letteratura

 Mauro Berruto

Siamo nel pieno della corsa, le Alpi sono alle porte. Due libri da leggere per entrare nella magia della corsa rosa

Siamo nel mese del Giro d’Italia, tornato a maggio dopo un’indimenticabile edizione autunnale. Siamo nel pieno della corsa che la settimana prossima vedrà il suo arrivo a Milano. Mille storie felici, struggenti, qualche volta drammatiche accompagnano la carovana è sono state raccontate dai più grandi scrittori italiani. Il famoso Dino Buzzati al Giro d’Italia del 1949 resta uno dei più straordinari esempi di letteratura sportiva nel nostro paese, almeno sessant’anni prima che la letteratura sportiva diventasse un genere. Non parlerò di quell’opera a metà fra il reportage e l’epica che tutti gli aficionados di questa rubrica devono aver aver letto, pena espulsione immediata e senza verifica al Var!

Inizio con un competitor diretto di Dino Buzzati, perché nel 1947 il Corriere della Sera aveva mandato al Giro d’Italia Indro Montanelli, con un accordo preciso: quello di non parlare di politica. Accordo, ovviamente, aggirato da Montanelli che farà diventare la cronaca sportiva uno straordinario osservatorio della vita quotidiana, in continuo intreccio con l’attualità. Per Montanelli il Giro del 48 è “saragatiano”, la strategia di Bartali diventa “degasperiana”, e la proverbiale discrezione dei ciclisti gli fa scrivere che “nemmeno nel bunker della Wilhelmstrasse a Berlino”, ovvero nei luoghi più impenetrabili del Führer, si conservassero tanto gelosamente i segreti. Quello che succede sulle strade d’Italia, raccontato da Indro Montanelli (a cura di Andrea Schianchi), Indro al Giro. Viaggio nell’Italia di Coppi e Bartali, cronache sportive del 1947 e 1948 (Rizzoli, 2016) è un modo per descrivere tutto ciò che c’è intorno. Perfino il gregario Angelo Menon che va in fuga, non rispettando la rigida strategia della squadra, diventa simbolo anarchico di chi, almeno una volta, si gusta la libertà ribellandosi all’ordine costituito. Montanelli non rinuncia mai al gusto estetico della bella scrittura, come quando descrive Coppi come il giovane lupo che azzanna alla gola il vecchio capobranco, Bartali, che tuttavia “non è mai stato in questo Giro tanto forte, quanto lo è ora che perde. Non è un uomo, è una poesia di Kipling, incarnata in un fascio di muscoli e nervi”, dice Montanelli evocando la poesia If che amava al punto da tenerne una copia incorniciata tradotta da lui stesso. 

Il secondo libro è invece di una donna viaggiatrice: Anna Maria Ortese, La lente scura. Scritti di viaggio (Adelphi, 2004). No, non è un errore: il libro, è vero, non parla di sport, ma in realtà è un’antologia di scritti e articoli della scrittrice vincitrice del Premio Strega nel 1967, usciti fra il 1939 e il 1964 su varie testate. In questo volume soltanto venti pagine parlano di sport e, per l’appunto, parlano di Giro, quello del 1955, visto, finalmente, con gli occhi di una donna. Un racconto per immagini, una prosa estetica che non mette al centro gli uomini, ma il paesaggio. Ogni tanto emergono note curiose (l’incontro con Vasco Pratolini e Orio Vergani anche loro lì per raccontare la corsa) e la Ortese non può certo non parlare di Coppi, Magni, Nencini, ma protagonista fondamentale è quell’Italia che scorre da Milano verso Napoli e poi di nuovo su a Milano e che asciugherà le lacrime del giovane Gastone Nencini, in maglia rosa fino a due giorni dall’arrivo, quando gli esperti Magni e Coppi lo attaccarono, coalizzandosi e approfittando di una sua foratura lungo una (bellissima) strada in ghiaia.

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