Giro d'Italia. Peter Sagan, una volata lunga 55 chilometri

Giovanni Battistuzzi

Nella 10a tappa del Giro d'Italia lo slovacco ha reso evidente per l'ennesima volta come gli sprint siano un lavoro comunitario. Non è più il più veloce? Poco male, ha fatto in modo che gli sprint fossero una conquista e non più un’inevitabile circostanza

Ci sono stati anni nei quali a Peter Sagan per vincere bastava scegliere di mettersi a ruota dell’uomo giusto. Poi la sua forza e la sua abilità di destreggiarsi nelle volate, di trovare il varco giusto, facevano il resto. Lo ha fatto parecchie volte al Tour de France. L’ultima volta in un arrivo di gruppo gli è riuscita nel 2018. Poi ha vinto ancora, ma al termine di tappe complesse, vallonate, nelle quali gli sprinter si disperdevano lungo il percorso. Djamolidine Abdoujaparov, uno dei più forti velocisti degli anni Novanta, spiegava che le volate sono “specialità per carne fresca”, perché “spesso ci vuole l’irresponsabilità della gioventù per tenere dietro tutti gli altri a sessanta all’ora”.

 

Il tempo però non è mai galantuomo nel ciclismo. Soprattutto nelle volate. Peter Sagan lo ha capito subito, ha fatto spallucce e si è adeguato al cambiamento. Faticava a tenere dietro i velocisti? Ha sostituito l’esplosività con l’ingegno e la consapevolezza di se stesso. Ha fatto in modo che gli sprint fossero una conquista e non più un’inevitabile circostanza. Ha iniziato a chiedere ai suoi compagni di squadra un sacrificio, chilometri a tutta in salita per far fuori il maggior numero di velocisti possibili. In fin dei conti lo slovacco non è mai stato un velocista, al massimo un più che velocista. Uno che va forte ovunque e tutto l’anno, che ha vinto classiche e tre Mondiali, uno che delle salite non ha paura.

     

Ha iniziato al Tour verso Colmar nel 2019. L’ha ripetuto più volte l’anno scorso. L’ha rifatto oggi nel corso della decima tappa del Giro d’Italia.

 

Tra L’Aquila e Foligno ci sono 139 chilometri, circa millecinquecento metri di dislivello e quattro salite, solo una valida per il Gran premio della montagna. Tutte pedalabili, facili si direbbe. A renderle toste ci ha pensato la Bora-hangrohe. I compagni di Sagan hanno iniziato a rendere la vita difficile ai velocisti verso località Casa Cantoniera, hanno proseguito sul Valico della Somma. Hanno prosciugato le velleità di vittoria di molte. Matteo Fabbro, Giovanni Aleotti, Felix Grossschartner hanno preparato il terreno. Macej Bodnar e Daniel Oss hanno sistemato la rampa di lancio. Peter Sagan ha fatto il resto. Ha chiuso su Molano che ha provato l’anticipo un po’ per lanciare il compagno Fernando Gaviria, un po’ per tentare il colpo gobbo. Poi ha proseguito, tenendosi alle spalle il colombiano e Davide Cimolai.

   

Foto LaPresse
      

Sagan ha reso evidente come le volate non siano una questione privata tra sprinter, ma un lavoro comunitario, una comunione d'intenti, un corpo che inizia a funzionare a inizio tappa, un meccanismo complesso che esaurisce il suo lavoro soltanto a qualche centinaia di metri dallo striscione d’arrivo. Ne è perfettamente consapevole lo slovacco: “Devo ringraziare la squadra perché come sempre vanno a tutta, al cento per cento per me. Oggi finalmente sono riuscito a vincere”.

 

Ci aveva provato, non c’era riuscito. Ora che ce l’ha fatta ci riproverà di nuovo. Poco male se di tappe per velocisti ce ne sia una sola. Sagan guarda alle altre, sa che nulla è impossibile, che una fuga centrata o un finale complicato può rendere stagionata anche una “specialità per carne fresca”.

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