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La Superlega è l'occasione buona per liberarci delle big

Giovanni Francesio

Prima o poi doveva succedere che le grandi squadre andassero per la loro strada. Per chi va allo stadio però questo non è un dramma. Anzi

Che sarebbe andata a finire così, non era difficile immaginarlo. Come in tanti altri campi della nostra vita, anche nel calcio la pandemia ha semplicemente accelerato un processo già in atto, e che era nell’aria da tempo. Certo, ci si poteva aspettare una cosa un po’ meno improvvisata, un progetto che non tradisse così spudoratamente la disperazione economica che lo anima, e magari un po’ più di strategia, di visione, di prospettiva. Ma non è questo il punto: il processo di lacerazione tra il calcio inteso come fenomeno sportivo, quindi con fondamentali risvolti sociali e popolari, e il calcio vissuto come mezzo di intrattenimento televisivo, con conseguenti enormi risvolti economici, è in atto da almeno vent’anni, e prima o poi bisognava arrivare al dunque. 

  

Non c’è molto da commentare, sul progetto della Superlega, se non appunto notare i modi un po’ ridicoli di questo giuramento della Pallacorda alla rovescia messo in atto dai grandi club europei, con l’abborracciato blitz notturno dell’altro giorno, certo non casualmente attuato nelle ultime settimane di stadi chiusi (basta vedere come stanno reagendo i tifosi del Liverpool, per fare un solo esempio, con striscioni appesi fuori dallo stadio contro la Superlega).

 

Chiederemmo solo, se possibile, che ci venissero risparmiati sgangherati paragoni con lo sport americano, che denunciano la assoluta ignoranza dei fondamenti su cui si basano le grandi leghe professioniste USA, che da un lato sono storicamente radicatissime, e dall’altro sono il terminale di una visione dello sport che ha come presupposto la dimensione sociale e popolare, che si realizza compiutamente nei campionati universitari. Guadagnare molti soldi, in America, è la conseguenza di un modello, non il presupposto.

 

Comunque sia, quella che si sta profilando è una grande, imperdibile occasione per il calcio europeo. Nella reazione della Fifa, dell’Uefa e delle Federazioni nazionali, inutilmente isterica, c’è un punto fondamentale, sul quale bisognerà essere irremovibili: chi partecipa alla Superlega, è fuori da tutto il resto. Non i giocatori, ovviamente, e la minaccia di escludere chi giocherà in Superlega dalle Nazionali rientra nell’isteria di cui sopra, ma i club assolutamente sì. E’ inutile cercare di tenere insieme quello che non può più stare insieme, e non ha nessun senso ostinarsi a trattenere chi se ne vuole andare. I top club europei si facessero il loro spettacolo televisivo, e noi torneremo allo stadio a seguire campionati equilibrati, a divertirci e appassionarci, perché come è sempre stato, e sempre sarà, ci basterà veder la maglia.

 

Da uomini di sport a intrattenitori

Qualcuno obbietta che i grandi campioni saranno tutti in Superlega, il che intanto non è mai stato fondamentale, per noi tifosi, perché siamo noi, a fare i campioni, e non viceversa, e poi è vero solo in parte, visto che venti giocatori per venti squadre fa quattrocento, e di giocatori buoni, al mondo, ce ne sono un po’ di più; e chissà che non torneremo ad avere anche qualche bandiera, qualcuno che passa una carriera nello stesso posto per amor dei colori e delle comunità. E quanto a chi afferma che senza Juve, Inter e Milan dal calcio italiano non interesserà più niente a nessuno, forse questo qualcuno non è mai stato allo stadio in vita sua.

 

Basta cambiare la prospettiva, uscire dalla logica televisiva coatta in cui siamo precipitati nell’ultimo ventennio, per rendersi conto che quella di domenica, per chi ama il calcio vissuto allo stadio, e per il movimento calcistico in generale, è una splendida notizia. La strada che i fondatori della Superlega hanno imboccato li trasformerà da uomini di sport in intrattenitori, e ci auguriamo che non gli sarà consentito tornare indietro, quando se ne saranno resi conto. Hanno voluto la bicicletta? Pedaleranno, se ne saranno capaci, incontro al destino che si stanno costruendo. 

 

E chissà che un giorno, almeno agli italiani del gruppo, non torni in mente un libro che ai tempi della scuola probabilmente hanno letto, ossia Il barone rampante di Italo Calvino: “Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori”. 

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