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That win the best

Non sarà un badge a farci “tornare alla normalità”

Non trasformate gli stadi in esperimenti distopici o quando ci si potrà andare di nuovo non ne avremo più voglia

Jack O'Malley

Non prendiamoci in giro, quello a cui stiamo assistendo da un anno non è lo sport di cui ci siamo innamorati, ma la sua trasformazione in sit-com

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Lo hanno ovviamente definito un successo – e mica poteva essere altrimenti – l’esperimento di due settimane fa alla Dacia Arena di Udine, in occasione di Udinese-Fiorentina. Sugli spalti dello stadio friulano c’erano 350 persone, tutte dotate di badge elettronico che avrebbe iniziato a vibrare e lampeggiare nel caso in cui una persona si fosse trovata troppo vicina a un’altra per più di venti secondi. L’entusiasmo succube per tutto ciò che è innovazione e tecnologia ha fatto celebrare  questo inquietante esperimento di controllo come “un primo passo verso la normalità”, secondo il paradigma oggi in voga per cui qualunque costrizione ci piace se è per “combattere il maledetto virus”. La più importante competizione calcistica europea è d’altronde sponsorizzata da una birra che nei suoi spot ci mostra gente che guarda le partite a casa da sola sorseggiando un prodotto analcolico ed esultando sottovoce: il ritorno allo stadio – se mai avremo ancora voglia e abbastanza coraggio – si preannuncia come una grottesca sceneggiatura distopica in cui la formula “in sicurezza” sarà il solo parametro per giudicare il successo di una partita. Un mondo in cui si ritiene necessario che un led luminoso ci avverta se ci stiamo comportando male è un mondo destinato a implodere su se stesso. Tra dieci anni faremo tutti il tifo per le stesse dieci squadre, ci sbronzeremo di birra senza alcol guardando in loop Real Madrid-Manchester City e Bayern Monaco-Psg fino a che non ci diranno più niente. Smetteremo di seguire la nostra squadra, le curve saranno occupate da anonimi tifosi occasionali ogni volta diversi, le coreografie decise con le società dopo che avremo imparato i cori senza parolacce postati sui social dalle media house della nostra squadra del cuore. Oppure. Oppure ci saremo talmente rotti le palle che costringeremo il calcio a tornare da noi, riempiremo  i pub brutti bevendo bionde molto alcoliche  e ci abbracceremo dopo ogni gol, lanciando i nostri innovativi badge in campo cantando cori che verranno stigmatizzati su Twitter da quelli che la sanno lunga. Non prendiamoci in giro, quello a cui stiamo assistendo da un anno non è lo sport di cui ci siamo innamorati, ma la sua trasformazione in sit-com. E mi dispiace per quelli con la perversione del progresso, ma non sarà un badge a restituirci quello che abbiamo perso. 

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