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La vittoria di Malagò

Umberto Zapelloni

Arriva il decreto che salva inno e bandiera ai Giochi, ma i problemi dello sport italiano restano

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L’Italia s’è desta.  Il Tricolore e l’inno di Mameli sono salvi.  Ma dov’è la vittoria? Già, dove sta la vittoria se ancora non possiamo dire con certezza se a Tokyo si gareggerà davvero? La vittoria sta nel sorriso ritrovato del presidente del Coni, Giovanni Malagò, e nelle parole del presidente del Cio, Thomas Bach, che, informato della svolta, ha commentato: “Sono molto felice”. Per l’Italia, ma anche per il Cio che aveva già pronto un documento in cui il nostro paese sarebbe stato paragonato alla Bielorussia di Lukashenko e privato di bandiera e inno ai Giochi giapponesi. Il fatto è che il nostro governo aveva preso sotto gamba ogni avvertimento. Conte non aveva mai risposto alle lettere di Bach, il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, ipotizzava al massimo un’ammonizione da parte del Cio. Quando si è capito che a Losanna era già stato scritto un documento che ci avrebbe tolto inno e bandiera, c’era ormai solo una via d’uscita. Un decreto legge in extremis, l’ultimo atto del Consiglio dei ministri, prima di che Conte salisse al Colle. Possiamo dire che prima di uscire si è ricordato di spegnere la luce per evitare di far salire la bolletta: inno e bandiera a parte, in gioco c’erano anche i 925 milioni di dollari stanziati dal Cio per Milano-Cortina. Insomma il guaio sarebbe stato grosso.

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L’Italia s’è desta.  Il Tricolore e l’inno di Mameli sono salvi.  Ma dov’è la vittoria? Già, dove sta la vittoria se ancora non possiamo dire con certezza se a Tokyo si gareggerà davvero? La vittoria sta nel sorriso ritrovato del presidente del Coni, Giovanni Malagò, e nelle parole del presidente del Cio, Thomas Bach, che, informato della svolta, ha commentato: “Sono molto felice”. Per l’Italia, ma anche per il Cio che aveva già pronto un documento in cui il nostro paese sarebbe stato paragonato alla Bielorussia di Lukashenko e privato di bandiera e inno ai Giochi giapponesi. Il fatto è che il nostro governo aveva preso sotto gamba ogni avvertimento. Conte non aveva mai risposto alle lettere di Bach, il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, ipotizzava al massimo un’ammonizione da parte del Cio. Quando si è capito che a Losanna era già stato scritto un documento che ci avrebbe tolto inno e bandiera, c’era ormai solo una via d’uscita. Un decreto legge in extremis, l’ultimo atto del Consiglio dei ministri, prima di che Conte salisse al Colle. Possiamo dire che prima di uscire si è ricordato di spegnere la luce per evitare di far salire la bolletta: inno e bandiera a parte, in gioco c’erano anche i 925 milioni di dollari stanziati dal Cio per Milano-Cortina. Insomma il guaio sarebbe stato grosso.

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Il decreto legge, almeno formalmente ha rimesso le cose a posto “all’ultimo secondo dei tempi supplementari”. Ha salvato la faccia del nostro sport, l’unico dei quattro (Francia, Gran Bretagna e Grecia) sempre presente ai Giochi. “Tutto a posto? No. Ma da oggi sappiamo che il Coni è un ente pubblico indipendente e da qui possiamo ripartire. Ora lavoreremo insieme con la giusta dignità”, ha detto il presidente Malagò al termine di quello che da definito un vero calvario.  

  

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Non è tutto a posto perché il conflitto tra Coni e Sport e Salute non è magicamente sparito e alcuni problemi restano sul tappeto pur se ora i centri di preparazione olimpica dell’Acqua Acetosa a Roma, di Tirrenia e di Formia tornano al Coni. Anche per quanto riguarda il personale (per il  Coni un massimo di 165 unità di personale, di cui fino a 10  dirigenti) qualche impiccio nascerà. Ma almeno verso il Cio il discorso è sistemato, e ora si potrà lavorare serenamente. 

   

A far arrabbiare il Comitato Olimpico Internazionale era stata la riforma dello sport voluta dall’ex ministro Giancarlo Giorgetti, riforma che toglieva autonomia al Coni violando l’articolo 27 della Carta Olimpica. Era ancora il novembre del 2018 quando il presidente del Cio Bach, in visita a Roma aveva lanciato l’allarme incontrando il presidente Mattarella e lo stesso Giorgetti. “Dopo aver parlato con il Coni e con il governo sono fiducioso che sarà trovata una soluzione per gli interessi dell’Italia e dello sport”, aveva detto Bach.

   

La soluzione è stata trovata. Il tempismo non è esattamente una dote dei nostri governanti. Per un certo periodo di tempo pareva che Giorgetti e poi il suo successore Spadafora, avessero un solo obbiettivo: evitare la rielezione di Malagò e limitarne il potere. Smentivano, ma intanto facevano di tutto perché il loro disegno andasse a segno svuotando il Coni e dando poteri e chiavi della cassaforte a Sport e Salute. Un tentativo maldestro. Una riforma dello sport era necessaria, ma non una riforma così concepita, tanto che Malagò ha avuto gioco facile a trasformarsi (come membro Cio) in ispiratore delle mosse di Bach contro il Coni.  Sì, a chiedere al Cio di sanzionare il Coni è stato proprio Malagò. Intrecci all’italiana. Per salvarsi e salvare l’autonomia del Coni ha giocato duro. E ha vinto ancora una volta. Sono due anni che trova un nemico dietro a ogni angolo di Palazzo H. Finora ha sempre vinto lui, anche in contropiede, anche giocando sporco. Solo nel calcio, lo sport più importante, che ha pure commissariato, qualche gol lo ha incassato. Il guaio vero è che questa guerra contro Malagò ha fatto  del male allo sport italiano. Da anni Malagò pensa  a salvare  l’autonomia del Coni (e se stesso), ma intanto gli stadi restano vuoti, le palestre, le piscine e i campi sportivi restano chiusi come le scuole, dove lo sport continua a essere un oggetto misterioso nonostante le solite promesse. Forse dovremo attendere che qualcun altro ci minacci perché ci si dia una mossa tutti assieme per salvare lo sport. Non solo il Coni.

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