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Il Foglio sportivo

Il calcio non si spiega solo con le statistiche. Il pallone secondo Giovanni Galeone

Alberto Facchinetti

Gli ottant’anni di uno dei pochi allenatori che è giusto chiamare “maestro”. Il racconto di una carriera mai stata banale

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Il papà di Giovanni, ingegnere all’Ilva di Bagnoli, viene trasferito nel 1947 a Trieste. La famiglia Galeone si stabilisce nel quartiere cittadino di Servola, dove il ragazzino che il prossimo 25 gennaio compirà 80 anni si divide tra calcio e basket. Gioca con amici triestini e con quelli che da queste parti chiamano “sciavi”, cioè jugoslavi. È bravo in entrambi gli sport, ma viene tesserato nella Ponziana che dopo alcune stagioni calcistiche in Prva Liga è tornata nella serie C italiana. Giovanni Galeone fa in tempo ad avere allenatori slavi e sentirà per sempre affinità con la Jugo del pallone. A 16 anni viene preso dal Monza, il ragazzo è già nel giro delle Nazionali giovanili.

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Il papà di Giovanni, ingegnere all’Ilva di Bagnoli, viene trasferito nel 1947 a Trieste. La famiglia Galeone si stabilisce nel quartiere cittadino di Servola, dove il ragazzino che il prossimo 25 gennaio compirà 80 anni si divide tra calcio e basket. Gioca con amici triestini e con quelli che da queste parti chiamano “sciavi”, cioè jugoslavi. È bravo in entrambi gli sport, ma viene tesserato nella Ponziana che dopo alcune stagioni calcistiche in Prva Liga è tornata nella serie C italiana. Giovanni Galeone fa in tempo ad avere allenatori slavi e sentirà per sempre affinità con la Jugo del pallone. A 16 anni viene preso dal Monza, il ragazzo è già nel giro delle Nazionali giovanili.

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Nel 1958 diventa campione europeo Under 18. Centrocampista titolare in una formazione che ha in squadra anche Albertosi, Bolchi, Salvadore e Mario Corso. L’anno dopo gli Azzurri arrivano secondi, nel frattempo sono stati inseriti Facchetti, Bercellino, Noletti e Ferrario. Giovanni ora è il capitano e il numero dieci. Tanti di questi faranno carriera con Milan, Juventus, Inter e nella Nazionale maggiore. Galeone farà invece tanti anni di C con l’Udinese. Smette di giocare nel 1973 e diventa allenatore. Per essere riconosciuto come un maestro negli Ottanta, gli basterà un cantore poi grande amico come Gianni Mura e la prima delle quattro promozioni in A. 

   

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Dopo tre anni di Spal, lui è senza lavoro e il Pescara è appena retrocesso in C. La società biancoazzurra gli fa una proposta. Accettata. In ritiro si trova con una rosa striminzita di giovani, nell’ambiente si respira pessimismo. In quei giorni il Pescara viene ripescato in B, perché intanto è scoppiato il secondo scandalo del Totonero dopo quello del 1980. Nove mesi dopo il Pescara di Galeone viene promosso in A. Più di quaranta mila spettatori vedono i biancazzurri sconfiggere il Parma di Sacchi 1-0 e ottenere matematicamente la promozione. Entrambe le squadre, ed è una rarità assistere a una partita così nel calcio italiano di allora, giocano a zona. Il Pescara si schiera con un 4-3-3, l’allenatore chiede ai suoi un calcio veloce e sempre propositivo, con gli interpreti che devono sentirsi liberi di provare la giocata. “A Pescara – racconta Galeone al Foglio Sportivo - ho avuto la vita facilitata da chi mi ha preceduto. In pochi lo ricordano ma Enrico Catuzzi era un professore di zona. Lo ammiravo già a Bari nel 1982, quando per l’Udinese andavo a visionare Caricola”.

   

La Spal di Galeone giocava soprattutto a uomo. “Ma io la zona la facevo già nel settore giovanile dell’Udinese nei Settanta, lì però non conta perché nei vivai si deve provare di tutto, in modo da preparare i ragazzi alla prima squadra. ‘Mister, ha visto come gioca il Belgio?’ Va bene, allora proviamo a metterci a 5 dietro… Eppure successivamente a me sarebbero arrivati in prima squadra calciatori impreparati: se non gli davi un punto di riferimento nella marcatura andavano in tilt, gente che magari aveva giocato in grosse squadre”.

   

Al suo esordio in A (13 settembre 1987) Galeone affronta a San Siro l’Inter di Trapattoni. Alla vigilia il presidente del Pescara Pietro Scibilia cammina nervosamente nella hall dell’albergo che ospita la squadra. Non è fuggito di notte un calciatore dal ritiro. È il quarantaseienne allenatore a non essere ancora rientrato. È andato a cena con Gianni Mura e altri amici in un ristorante milanese che evidentemente tiene aperto fino a tardi. “Quando giocavo con l’Udinese ero il pupillo di Gipo Viani. Dal giovedì in poi voleva che andassi a cena con lui per farmi rincasare presto. Ma io alle 22 non potevo andare a dormire”.
L’indomani il Pescara, in divisa completamente rossa, dà una lezione di calcio all’Inter, vincendo 2-0. Galeone ora può schierare anche due campioni. Leo Junior ha rotto con Radice al Toro. Il suo ex compagno Zico ha conosciuto il Gale a Udine: “Accetta, Leo. Ti piacerà sia come allenatore che come persona”. Junior ha 33 anni e Gian Piero Gasperini gli lascia la fascia da capitano. Il secondo è Blaž Slišković, un croato di Mostar. La Jugoslavia torna ancora nella carriera del Gale. Baka è di proprietà del Marsiglia, che però in rosa si ritrova uno straniero in più. A Udine Galeone ha passato ore a parlare di pallone con Ivica Šurjak. Grazie al procuratore Pedrag Naletilic l’affare Slišković si fa. Baka arriva e fa la differenza, nonostante qualche sigaretta di troppo, una sempre in spogliatoio tra i due tempi, ma il mister non fa caso a queste abitudini. Junior viene schierato come volante davanti alla difesa, a Slišković Galeone cuce addosso il ruolo di falso centravanti. “Quasi tutti giocavano con uno stopper aggressivo e un libero tecnico ma lento. Baka era un grandissimo e di una furbizia senza paragoni: portava in giro per il campo i difensori, lasciando spazio per le due ali d’attacco o per l’inserimento della mezzala”. A fine stagione il Pescara si salva in un torneo a 16 squadre.

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Nel 1992 il Gale ottiene un’altra promozione in A con il Pescara, con una rosa più strutturata rispetto alle precedenti. Massimiliano Allegri e Frederick Massara (oggi dirigente del Milan) sono tra i protagonisti. Nell’ottobre 1995 Galeone va al Perugia di Gaucci e ritrova un pezzo di Pescara. Ci sono Camplone, Dicara, Allegri e Pagano. È la sua quarta promozione in A, la seconda consecutiva perché l’anno prima, ancora da subentrato, aveva centrato l’obiettivo con l’Udinese. “Sono andato via io da Udine, consigliando a Pozzo di prendere Zaccheroni, l’unico che con il Cosenza mi aveva messo tatticamente in difficoltà. Per la B avevo uno squadrone, se non avessi ottenuto la promozione avrei dovuto strappare il tesserino preso a Coverciano. Perché me ne andai? Quando in B mi mostrarono il contratto, chiesi se la cifra proposta fosse soltanto per un mese. Ma mi misi d’accordo per un bonus promozione. L’anno dopo mi volevano dare gli stessi soldi con un bonus salvezza. Ma io scommetto sulle vittorie, non sulle salvezze e così me ne sono andato”.

     

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Un’occasione d’oro gli arriva nel 1997 dal Napoli, città dove è nato. Ma in dieci partite non ottiene neanche una vittoria. Ci riprova nella sua Pescara, quindi in A ad Ancona e nel marzo del 2006 torna a Udine, chiamato per salvare la squadra. Ci riesce e l’anno successivo è ancora seduto sulla stessa panchina. Parte bene, poi a gennaio viene esonerato poco prima di compiere 66 anni.

   

Di rito è la cena a Giulianova a casa dell’ex ds del Pescara Andrea Iaconi. Presenti i suoi due allievi prediletti Allegri e Giampaolo, oltre che l’amico Pierpaolo Marchetti, un tempo giornalista e oggi traduttore di libri di lingua spagnola. La scelta del vino è del Gale o di Giampaolo. Si parte con le bollicine, poi si cambia. Il cibo lo porta il solito pescatore di fiducia. I discorsi cadono ovviamente sul calcio. Qualche accenno alla politica e all’attualità si fa, ma soprattutto si ride. Marchetti consiglia sempre qualche libro. “Il Giardino di Bronzo” dell’argentino Gustavo Malajovich è stato apprezzato da tutti. Un tempo grande lettore, Galeone oggi legge un po’ meno. Ma per l’ottantesimo compleanno è già pronto un piego di libri con la trilogia della spagnola Susana Rodriguez Lezaun.
Giampaolo gli ha fatto da secondo nel 2000 a Pescara. “Faceva l’osservatore – continua  ed era un gran studioso di calcio. Oggi è un po’ troppo fossilizzato su certi principi. Gli manca la pazzia, per lui tutto deve essere perfetto. In questo assomiglia a Sarri, era quest’ultimo che all’inizio andava a vedere gli allenamenti di Marco, non viceversa”. E gli altri? “Max la follia ce l’ha e ce l’aveva anche quando giocava. Ha una lettura della gara spaventosa e la capacità di cambiare la partita da un momento all’altro. Piero Gasperini da calciatore era metodico e preciso, permaloso e rompiballe. Tatticamente in campo era fantastico, giocava sempre per la squadra e aveva una buona lettura della partita. Sapeva mettere tutti al loro posto sia in campo che in spogliatoio. Sono stato fortunato ad avere allenato giocatori così”. E Massara, mister? “Ricky è un ragazzo intelligente e colto, onesto e serio il giusto. Ha lavorato con Sabatini, un vero genio”.

   

Galeone oggi vive a Udine con la moglie, segue il calcio in tv, ma non sempre e non tutto. “Non è più un calcio offensivo. Cosa ci stanno a fare le porte se non si tira? Una volta avevo addirittura proposto di mettere il tempo a ogni azione in attacco come nella pallacanestro. Non mi piace vedere due difensori passarsi la palla nella loro area piccola. Rido quando i portieri toccano più palloni delle mezzali, anche perché spesso fanno delle puttanate incredibili: se dobbiamo giocare così, allora andiamo in campo senza portieri. Oggi c’è la moda delle percentuali. Sembra che il gioco si possa analizzare solo con i numeri: 8 passaggi sbagliati, 70 percento di possesso palla, 25 centimetri guadagnati rispetto all’anno prima... ma la partita va valutata nel suo complesso, non in questa maniera”. 

   

Nel 2020 se ne è andato l’amico Mura. Galeone era stato uno degli otto invitati alla festa per il pensionamento del giornalista nel 2010. Gli altri invitati: Paola Mura, Luigi Bolognini, Gigi Garanzini, Ricky Gianco, Damiano Tommasi, Gino Strada e Vinicio Capossela. “Gianni è stato un grande amico – dice commosso –   dovevo andare a trovarlo a Senigallia. Avendo allenato ad Ancona, conoscevo in zona un paio di buoni ristoranti. Poi a causa del Covid mi hanno annullato il volo. Qualche giorno dopo mi ha chiamato Emanuela Audisio dicendomi che Gianni non c’era più. Da lui ho imparato tanto. Per esempio che con i bianchi ci si diverte, ma il vino deve essere quello rosso, checché ne dica il mio amico d’infanzia Fabio Capello”. Ciò non toglie che il 25 gennaio, così come tutti gli altri giorni dell’anno, il mister aprirà prima di cena una bottiglia di champagne. Da quattordici anni preferisce dire di no alle richieste di vari club. Nella sua carriera di allenatore ci sono solo due stagioni complete in serie A, ma la sua eredità calcistica continua sulle panchine dei suoi allievi. Ecco perché è giusto chiamarlo maestro.

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