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Il Foglio sportivo

La Russia dello Zar Zaytsev, che ha imparato a non avere fretta

Marco Pastonesi

In Siberia l’opposto della Nazionale sta preparando le Olimpiadi di Tokyo, che “potrebbero non essere le ultime”, ci dice. Tra un po’ di nostalgia e tanto rock 

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Dalla Russia con amore, dalla Siberia con onore, da Kemerovo con WhatsApp. Ivan Zaytsev, lo Zar azzurro, nella Terra che dorme, come dire metà degli italiani in una regione 43 volte più grande dell’Italia, dagli Urali al Pacifico, dai mongoli ai tartari, dai lupi ai caribù.

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Dalla Russia con amore, dalla Siberia con onore, da Kemerovo con WhatsApp. Ivan Zaytsev, lo Zar azzurro, nella Terra che dorme, come dire metà degli italiani in una regione 43 volte più grande dell’Italia, dagli Urali al Pacifico, dai mongoli ai tartari, dai lupi ai caribù.

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Zaytsev, come va la vita?

“Quando arrivai a Kemerovo, in agosto, c’erano 30 gradi. Sopra. Anche adesso ce ne sono 30. Ma sotto. Totale: 60 gradi. Non è un’escursione termica, ma una discesa libera, un salto nel buio, un tuffo nel precipizio. Però, con il riscaldamento a manetta, si sta bene”.

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A casa?

“Un appartamento di un centinaio di metri quadrati in un palazzone nuovo. Abito da solo, così non ho, e non creo, rotture di palle. Mi prendo le mie comodità, mi tengo il mio disordine – diciamo così – creativo. Un bel lettone dove posso spaziare, una cucina che uso sempre per la colazione e qualche volta anche per la cena, una lavatrice che va a tutta, un bagno con tanto di vasca, ma a cui va a finire che per pigrizia preferisco la doccia, e un salone con la tv che, nel 2021, non ho ancora acceso”.

 

A tavola?

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“Se vuoi mangiare italiano, mancano le materie prime e ti devi arrangiare. Però un dignitoso aglio, olio e peperoncino si può sempre fare. E anche un’amatriciana, però spacciando dolosamente la pancetta per il guanciale. Più pesce che carne. E ‘lockdown’ alcolico: un solo bicchiere di vino rosso, italiano, e solo quando si vince. Per fortuna vinciamo quasi sempre. Insomma, faccio il bravo”.

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A soldi?

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“Il costo della vita è decisamente più basso che in Italia. Quando vado a fare la spesa, se scelgo prodotti russi, spendo poco, ma se voglio i tortellini modenesi o il vino umbro – ammesso di poterli trovare – li pago anche cinque volte più che in Italia. Anche la benzina costa meno. Ho una macchina da cui prendo le distanze, non ne conosco neppure la cilindrata, sui duemila direi, le chiedo solo di portarmi da casa al palazzetto o da casa all’aeroporto. Qui le distanze sono esagerate. Sei ore di fuso con l’Italia, quattro ore di aereo da Mosca, farla in macchina – 3.600 chilometri – sarebbe da Guinness dei primati. E le autostrade, noi critichiamo tanto quelle italiane, ma dovreste vedere da queste parti”.

 

Il Kuzbass?

“È una società ben organizzata. La sala pesi è una figata, con macchinari ultrasofisticati, e per me che passo tanto tempo in palestra è un piacere. L’arena ha duemila posti, adesso c’è il permesso di riempirla a metà, ma anche così il pubblico, caldissimo anche a temperature polari, fa un casino bestiale e vale come fattore campo. Più la mensa. I dirigenti si impegnano molto. In Russia la pallavolo ha tradizione e cultura”.

 

Il campionato?

“Secondi. La stagione si chiude con i playoff, una ‘final six’ di cinque giorni in aprile, poi il 10 liberi tutti. La nostra squadra conta su 14 giocatori, 12 russi più un croato e un italiano. Io. Opposto”.

 

L’Italia, nel senso della pallavolo?

“Mi tengo in costante contatto con lo staff della Nazionale. Abbiamo voglia di fare. Avremo tempo per organizzarci. L’Olimpiade di Tokyo è un sogno e un bersaglio. E non è detto che sia la mia ultima Olimpiade. La successiva sarà solo fra tre anni. Non mi pongo limiti, non metto paletti”.

 

E l’Italia, nel senso del paese?

“Vista da lontano, la situazione mi pare molto incasinata. Le battaglie politiche inutili, anzi, dannose in questo periodo, i provvedimenti mai risolutivi, e certi settori strapenalizzati. Penso non solo alla ristorazione, con le sue parziali chiusure, ma a tutto quello che è cultura, teatri cinema musica, azzerati, eppure indispensabili”.

 

Lì?

“La situazione sta lievemente migliorando. C’era stata la prima ondata, più o meno come da noi, un anno fa. Poi la seconda, in settembre-ottobre. E la terza non è ancora arrivata. A Kemerovo, mezzo milione di abitanti, ci sono 100-150 casi al giorno”.

 

Voi?

“Non viviamo in una bolla, ma conviviamo con la popolazione. Non siamo mai stati completamente isolati, ma usiamo tutte le attenzioni e prudenze. Siamo seguiti da uno staff medico preparato e premuroso. Quanto ai siberiani, è un popolo semplice e fatalista. Non solo per la pandemia, ma per tutto. Lavorano, lottano, non si lamentano e accettano quello che viene”.

 

Vaccini?

“Si comincia. Sono favorevole. Spero di farlo al più presto”.

 

Ma questo disastro?

“La globalizzazione diffonde non solo modelli culturali, ma anche malattie infettive. Mischia, miscela, distribuisce. E moltiplica. All’ennesima potenza. Se il sistema terrestre è giunto al collasso, la responsabilità è umana. Tratti male il pianeta? Il pianeta si vendica. Non voglio passare per un’altra Greta Thunberg, ma il Covid-19 dovrebbe averci insegnato a comportarci meglio. Igiene significa salute. E dipende da noi: dalla nostra coscienza, dalle nostre abitudini, dai nostri stili di vita quotidiana”.

 

Ivan, com’è la sua giornata?

“Pallavolistica. Alzatore – quando mi alzo dal letto – la mattina, schiacciatore – quando mi butto sul letto – la sera, e un po’ anche libero. Palestra e campo. Libri e film, dipende dai periodi, ultimamente non ho trovato niente di speciale. Serie tv, zero. Ma sport, sempre, dalla Nba alla pallavolo italiana, fusi orari permettendo. Sempre musica, sono ritornato rockettaro, riscoprendo Pink Floyd, Deep Purple e Guns’n’Roses. E lunghe telefonate a casa”.

 

Nostalgia?

“Enorme. Tre settimane fa, dopo cinque mesi da emigrante, ho fatto un salto a casa, a Modena. A sorpresa. C’è mancato poco che Ashling fosse vittima di un infarto. E le tre bestie – Sasha, Nausicaa e Sienna – erano completamente stordite: passare da uno schermo digitale al carne-e-ossa li ha sconvolti. Quando hanno ricominciato a saltarmi addosso, ho capito che lo shock era stato superato”.

 

Che cosa le insegna questo inverno siberiano?

“A non avere fretta. In questo mi ritengo uno specialista. Sono sempre l’ultimo a uscire dalla palestra, dal campo, dallo spogliatoio. La velocità, anzi, l’esplosività la cerco, la trovo, la riservo in quell’area, nove metri per nove, che è il nostro campo di pallavolo. Ma altrove regna la lentezza”.

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