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Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza

Inter-Juve, silenzi e grida

Alessandro Bonan

Parla Conte, tace Pirlo. La Juventus mostra segnali di forza solo quando è costretta. Il problema dell’Inter nasce quando si accontenta di vivere la partita anziché aggredirla

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Silenzi e grida, ecco Inter-Juve. Parla Conte, tace Pirlo, il quale sembra un antico filosofo chiuso nella sua meditazione. Che cosa pensi di preciso non si sa. La Juventus mostra segnali di forza solo quando è costretta, per il resto si lascia andare, veleggia, per dirla alla marinara, un po’ alla cieca, come una navigazione senza bussola. Il che potrebbe offrire il vantaggio della imprevedibilità. Se il gioco si giudica dal centrocampo, siamo di fronte a una scena piuttosto anonima. Nessuno tra i protagonisti sembra in grado di possedere il tocco magico. Bentancur mette il piede come un mattone, stoppa molti avversari (non tutti) ma poi quando si tratta di guardare avanti spesso retrocede. Arthur è un centrocampista dalla visione periferica, un torero che gira su se stesso troppe volte per giocare con il toro. Il francese Rabiot, si muove come il cavallo quasi omonimo, galoppando in sentieri troppo angusti per lui. La Juventus vive e si consolida con gli affondi dell’americano McKennie, ottimo corridore sminuito dal pregiudizio di chi giudica minore il calcio con le stelle e le strisce, gli inserimenti di Ramsey, soldato in tuta mimetica, pronto a nascondersi e apparire all’improvviso, e soprattutto gli strappi di due fenomeni fisici: Chiesa e Kulusevsky. Il primo sta imparando a correre guardandosi intorno, mantenendo lucidità sotto porta, il secondo, bisonte agile, si scaraventa negli spazi con forza e tecnica, spostando di peso la squadra come se fosse Ercole in una delle “dodici fatiche”. Il resto lo fanno Ronaldo e Morata, su cui c’è poco da discutere. Al silenzio di Andrea Pirlo si contrappone la parola di Antonio Conte, il quale ci mette sempre la faccia e non per nulla gioca un calcio molto più “visibile”. Grande impegno degli esterni, con un fenomeno di nome Hakimi, palla a Lukaku, scambio con Lautaro e metà del lavoro è fatto. Il problema dell’Inter nasce quando si accontenta di vivere la partita anziché aggredirla. Allora si addormenta e rischia di subire. In mezzo, l’imprescindibile si chiama Brozovic, a cui viene demandato il compito di organizzare il gioco, poi c’è Gagliardini che esegue gli ordini, Vidal che al momento si defila, e infine Barella che fa tutto il resto. Il sardo è un’ira funesta, un assaltatore di qualità, un super eroe che rimbalza da destra a sinistra, come il Paperinik dei tempi d’oro. E’ il più forte centrocampista italiano insieme a Locatelli del Sassuolo. Deve solo imparare a lamentarsi di meno infilandosi dentro il vuoto di una partita come un ladro gentiluomo. Perché il silenzio, specie di questi tempi, è un rumore da rispettare, e le grida servono soltanto a perdere la voce.

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Silenzi e grida, ecco Inter-Juve. Parla Conte, tace Pirlo, il quale sembra un antico filosofo chiuso nella sua meditazione. Che cosa pensi di preciso non si sa. La Juventus mostra segnali di forza solo quando è costretta, per il resto si lascia andare, veleggia, per dirla alla marinara, un po’ alla cieca, come una navigazione senza bussola. Il che potrebbe offrire il vantaggio della imprevedibilità. Se il gioco si giudica dal centrocampo, siamo di fronte a una scena piuttosto anonima. Nessuno tra i protagonisti sembra in grado di possedere il tocco magico. Bentancur mette il piede come un mattone, stoppa molti avversari (non tutti) ma poi quando si tratta di guardare avanti spesso retrocede. Arthur è un centrocampista dalla visione periferica, un torero che gira su se stesso troppe volte per giocare con il toro. Il francese Rabiot, si muove come il cavallo quasi omonimo, galoppando in sentieri troppo angusti per lui. La Juventus vive e si consolida con gli affondi dell’americano McKennie, ottimo corridore sminuito dal pregiudizio di chi giudica minore il calcio con le stelle e le strisce, gli inserimenti di Ramsey, soldato in tuta mimetica, pronto a nascondersi e apparire all’improvviso, e soprattutto gli strappi di due fenomeni fisici: Chiesa e Kulusevsky. Il primo sta imparando a correre guardandosi intorno, mantenendo lucidità sotto porta, il secondo, bisonte agile, si scaraventa negli spazi con forza e tecnica, spostando di peso la squadra come se fosse Ercole in una delle “dodici fatiche”. Il resto lo fanno Ronaldo e Morata, su cui c’è poco da discutere. Al silenzio di Andrea Pirlo si contrappone la parola di Antonio Conte, il quale ci mette sempre la faccia e non per nulla gioca un calcio molto più “visibile”. Grande impegno degli esterni, con un fenomeno di nome Hakimi, palla a Lukaku, scambio con Lautaro e metà del lavoro è fatto. Il problema dell’Inter nasce quando si accontenta di vivere la partita anziché aggredirla. Allora si addormenta e rischia di subire. In mezzo, l’imprescindibile si chiama Brozovic, a cui viene demandato il compito di organizzare il gioco, poi c’è Gagliardini che esegue gli ordini, Vidal che al momento si defila, e infine Barella che fa tutto il resto. Il sardo è un’ira funesta, un assaltatore di qualità, un super eroe che rimbalza da destra a sinistra, come il Paperinik dei tempi d’oro. E’ il più forte centrocampista italiano insieme a Locatelli del Sassuolo. Deve solo imparare a lamentarsi di meno infilandosi dentro il vuoto di una partita come un ladro gentiluomo. Perché il silenzio, specie di questi tempi, è un rumore da rispettare, e le grida servono soltanto a perdere la voce.

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