Oltre i cambi sbagliati

Cinque sfumature di Antonio Conte

I chiaroscuri nelle parole dell'allenatore interista dopo il pareggio con la Roma

Giuseppe Pastore

Contraddizioni, tentativi di sminuire la pressione, frasi fatte che suonano vuote e un senso di estraneità dalle vicende nerazzurre durante l'intervista post partita di ieri. E adesso incombe la sfida con la Juve

Visto che con Internet le cose invecchiano in fretta e che oltretutto a criticare dopo so' boni tutti, i cambi sbagliati o perlomeno infelici di Antonio Conte nel secondo tempo di Roma-Inter sono già preistoria. Proviamo a cercare una nuova dimensione nei chiaroscuri di Conte in quello che per paradosso è il momento più piatto, scontato e prevedibile della settimana di un allenatore di serie A: l'intervista post-partita.

Premessa: l'anno scorso, specialmente nelle ultime settimane, Conte aveva abituato la platea a sparate improvvise su temi extra-campo, con cui intendeva prendere posizione e spronare il famoso “ambiente” a seguirlo nelle sue rivendicazioni un po' donchisciottesche. A luglio se l'era presa con la Lega per gli impegni troppo ravvicinati, poi dopo l'ultima di campionato aveva sparato a zero sulla società colpevole di non averlo difeso abbastanza per tutto l'anno. Infine, dopo la sconfitta col Siviglia in finale di Europa League, aveva palesemente lasciato intendere la possibilità di un divorzio, poi ricomposto con l'arcinoto vertice di villa Bellini. Da lì è uscito un Conte mediaticamente molto diverso: “ripulito” per gli estimatori, anestetizzato per i detrattori, ma sempre con l'incertezza se fosse cambiato davvero o semplicemente ci facesse. Sempre molto pacato (o rassegnato) anche dopo sconfitte brucianti come il derby o lo 0-2 contro il Real Madrid; messo davvero alle strette una sola volta, nel fiammeggiante post-partita di Inter-Shakhtar, con il famoso alterco (perso su tutta la linea) con Fabio Capello.

Raramente in tv vediamo allenatori in difficoltà; in pochi hanno il pelo sullo stomaco di stuzzicare certi equilibri da “politica interna”, specialmente a margine di un big match. Così, dopo una partita complessa e ricca di sfumature come Roma-Inter, mentre già infuriava il tiro al piccione interista verso i cambi e l'atteggiamento della squadra negli ultimi venti minuti, Conte ha risposto così alle domande tutto sommato morbide dei commentatori di DAZN.

“Abbiamo giocato una buona partita contro la Roma che ha gli stessi obiettivi che abbiamo noi”.

Luminoso esempio di come Conte tenti di sminuire la pressione ambientale che l'Inter si è caricata addosso da sola, a partire da quello sciagurato girone di Champions buttato via in malo modo, senza nemmeno lo zuccherino dell'Europa League (che a suo tempo aveva fatto pensare a molti tifosi: massì, tutto sommato meglio non avere le coppe). Ma al 10 gennaio 2021 davvero la Roma ha gli stessi obiettivi dell'Inter, ovvero lo scudetto senza se e senza ma?

Noi abbiamo subito tanti gol in contropiede, proprio perché tante volte la pressione la vogliamo fare alta. Non dimentichiamo però che bisogna avere anche le forze per farlo, questa è la terza partita in sette giorni, le hanno giocate sempre gli stessi, è inevitabile che vengano a mancare le energie. […] Hakimi pure ha corso tanto e stava perdendo delle palle importanti. Detto questo, si è parlato di giocatori, questa è la terza partita in sette giorni che hanno sempre giocato, e quindi le sostituzioni ci stanno, anche perché l'Inter deve avere una rosa importante se vuole ambire a qualcosa di importante. Quindi non vedo il perché non si debba pescare dalla panchina (sorride).

Senza entrare nel merito dei cambi, Conte inciampa in una contraddizione spettacolare, dal momento che – fino a prova contraria – è lui quello che deve gestire il turn-over e dosare i titolari per evitare di trovarseli spompati nei minuti più importanti della settimana. A che pro far giocare ad Hakimi 90 minuti interi contro il Crotone per poi ritrovarselo sfiatato a Roma? Ed era davvero necessario cambiarlo con Kolarov, che da novembre aveva giocato appena nove inutilissimi minuti con il Crotone? Nel momento caldo dello scontro diretto con la terza in classifica perché insistere con Perisic, un assist e zero gol nelle ultime 13 apparizioni? Perché il promettente Sensi intravisto a fine 2020 non è mai stato impiegato contro Roma e Sampdoria, quando piuttosto sono stati concessi 25 minuti persino a Eriksen, pubblicamente definito inutile da allenatore e dirigenza?

Io penso che alla fine subentri anche l'ansia del risultato importante, che ti porta mentalmente a dire: mi abbasso. E invece noi comunque anche dalla panchina continuavamo a dire di stare alti, anche perché alla fine abbassarti non penso sia una buona cosa. Resta il fatto che anche a livello psicologico chi sta perdendo non ha niente da perdere e si butta in avanti, mentre chi sta vincendo cerca di mantenere il risultato. Però continueremo sicuramente a lavorare sotto questo aspetto.

L'etica del lavoro, concetto alto e naturalmente nobilissimo, in bocca a Conte sembra un messaggio da segreteria telefonica, una filastrocca svuotata oppure addirittura contro-producente, visto che – a fronte di tutto questo lavoro – nel 2021 l'Inter viaggia alla media di due gol subiti a partita e l'ultimo clean sheet risale all'1-0 piuttosto casuale con il Napoli, partita che si era messa allo stesso modo di Roma-Inter, con l'aggravante della superiorità numerica che non aveva impedito all'Inter di farsi assediare da Politano e soci nell'ultimo quarto d'ora, ridotta a un 5-4-1 simile in tutto e per tutto a quello di ieri. Se contro la Roma l'Inter non ha fatto tesoro di quel campanaccio d'allarme, in cosa consiste questo famoso lavoro?

Una buonissima prestazione da parte di Vidal, magari è partito un pochettino a rilento, poi nel secondo tempo è salito di intensità ed è stata sicuramente una buonissima prestazione.

Vidal è un altro dei nervi scoperti del popolo nerazzurro: dannoso in difesa e nullo in attacco (zero gol in 19 partite), al momento è un acquisto oggettivamente infelice e lo stesso tecnico ha dimostrato di aver esaurito i bonus, come dimostra la sostituzione all'intervallo contro il Crotone. A che pro Conte definisce buonissima una prestazione appena sufficiente del “suo” acquisto, se non quella di svuotare di senso e liquidare nel modo più banale possibile una questione a cui non ha voglia né intenzione di rispondere?

Guardate, quest'anno il verbo volere non esiste. Che sia chiara questa cosa qui. Già ad agosto mi è stato detto molto chiaro quale sarebbe stata la linea del club, infatti Hakimi l'abbiamo preso ad aprile e poi non abbiamo comprato nessun altro giocatore. Adesso la linea è molto chiara. Ogni tanto vedo che io voglio questo, voglio quest'altro: io non voglio nessuno, lavoro con questi calciatori che ho a disposizione, ci sono dei pregi e dei difetti in questa rosa, ma siamo questi e andremo a combattere con questi. Dimenticate l'Inter nel discorso mercato perché non ci riguarda, o almeno, a me è stato detto questo, e quindi vi riporto questo. Né io sto chiedendo nessuno né voglio nessuno, che sia chiara 'sta cosa, perché poi vedo anche titoli in prima pagina che voglio questo, voglio quest'altro... a me dispiace perché poi passa sempre questo messaggio sbagliato. È da agosto che non esiste il verbo volere, ma solo un verbo che conosco bene perché so fare solo questo: lavorare, lavorare, lavorare.

L'uso-abuso della prima persona singolare, ritornando al cliché del lavoro e oltretutto sorvolando in maniera spettacolare sulle continue esortazioni passate a rinforzare la rosa (ricorderete il “Questi giocatori non hanno vinto niente, alcuni giocavano nel Sassuolo e nel Cagliari” dopo la sconfitta di Dortmund del novembre 2019), sottolinea l'estraneità di Conte al sistema Inter, in un momento societario difficile anche senza andare a pescare nel torbido come fatto da molte testate negli ultimi giorni. Il tentativo di identificazione con “l'ambiente”, provato l'anno scorso anche con discreto successo, sembra essere irrimediabilmente naufragato: una buona parte di tifosi interisti semplicemente non sopporta Conte, lo identifica ancora come uno juventino e al fatale approssimarsi di Inter-Juventus non rinuncia nemmeno a pescare nel pozzo nero della malafede. Giunta quasi a metà, appesantita da questioni societarie nebulose su cui lo stesso allenatore – invece di serrare le fila – preferisce fare il pesce in barile, la stagione dell'Inter rimane sospesa in uno strano limbo: sembra sempre poter svoltare da un momento all'altro, ma quel momento non arriva mai. Nell'attesa, l'ultimo tabellino suona particolarmente beffardo, come se - nello stadio in cui i nerazzurri hanno sollevato il loro ultimo trofeo, quasi un decennio fa – le giravolte della storia volessero punire un uomo che col passare delle settimane sembra sempre più distaccato dall'Inter, facendogli prendere gol da cognomi illustri e pesantissimi nell'album di famiglia di ogni tifoso: un ex allenatore che ha vinto sette trofei e un ex presidente vincitore di uno scudetto da record. Entrambi, per giunta, allenati da un tecnico portoghese.

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