PUBBLICITÁ

Il Foglio sportivo

Le molte vite di Dan Peterson

Umberto Zapelloni

Compie 85 un grande dello sport. E non ha intenzione di fermarsi. Ha vinto tutto da allenatore di basket in Italia. Ha scritto libri e articoli, inventato tormentoni in tv, insegnato agli altri ad allenare. “Oggi? Guardo più il calcio”

PUBBLICITÁ

Anche oggi che festeggerà 85 anni con una torta spettacolare preparata da sua moglie Laura, chiederà alla mamma di “buttare la pasta”. Dan Peterson che, stando alla sua autobiografia, una volta era alto due metri, non smetterà mai di essere un personaggio. E soprattutto non si accontenterà mai di essere una cosa sola. Anche con Laura si è sposato due volte. Una civilmente in America nel 1997, l’altra nel 2017 in chiesa a Milano. Era un coach, il migliore che c’era in giro in quegli anni (non ditelo a Valerio Bianchini però), ma ha deciso di smettere a 51 anni per dedicarsi ad altro: articoli, libri, televisione, pubblicità, camp di basket, convention aziendali, coaching, team building. L’ultima idea, la Dan Peterson Academy per insegnare ad allenare a giovani e meno giovani, l’ha rallentata solo il Covid, chiudendo palestre e auditorium. Ma non si fermerà. Durante il lockdown si è inventato una rubrica per Sport Mediaset, durante il calciomercato è ormai ospite abituale dell’Originale su Sky. Intanto, tra una Settimana Enigmistica e l’altra, sta scrivendo un nuovo libro sul basket e sogna di scriverne uno sulla lingua dei gesti degli indiani americani.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Anche oggi che festeggerà 85 anni con una torta spettacolare preparata da sua moglie Laura, chiederà alla mamma di “buttare la pasta”. Dan Peterson che, stando alla sua autobiografia, una volta era alto due metri, non smetterà mai di essere un personaggio. E soprattutto non si accontenterà mai di essere una cosa sola. Anche con Laura si è sposato due volte. Una civilmente in America nel 1997, l’altra nel 2017 in chiesa a Milano. Era un coach, il migliore che c’era in giro in quegli anni (non ditelo a Valerio Bianchini però), ma ha deciso di smettere a 51 anni per dedicarsi ad altro: articoli, libri, televisione, pubblicità, camp di basket, convention aziendali, coaching, team building. L’ultima idea, la Dan Peterson Academy per insegnare ad allenare a giovani e meno giovani, l’ha rallentata solo il Covid, chiudendo palestre e auditorium. Ma non si fermerà. Durante il lockdown si è inventato una rubrica per Sport Mediaset, durante il calciomercato è ormai ospite abituale dell’Originale su Sky. Intanto, tra una Settimana Enigmistica e l’altra, sta scrivendo un nuovo libro sul basket e sogna di scriverne uno sulla lingua dei gesti degli indiani americani.

PUBBLICITÁ

   

  

Per tenersi in allenamento all’alba di ogni giorno recapita nella posta di amici, appassionati e ammiratori il suo blog quotidiano che spazia dalla cucina alla politica, dagli aggiornamenti sul Covid alla storia americana. Ha una rapidità di scrittura pari a quella che Bob McAdoo aveva sotto canestro. Quando ai tempi della Gazzetta gli commissionavo un commento dopo il tempo di una partita di calcio (senza recuperi) era già in posta, pronto per essere pubblicato con pochissime correzioni.

   

PUBBLICITÁ

Quando sbarcò in Italia nel 1973 la stampa bolognese lo accolse con dei titoli non proprio simpatici “Peterson chi?”, si chiedeva attaccando la scelta lungimirante ma azzardata dell’avvocato Porelli che era andato ad ingaggiare per la Virtus il c.t. della nazionale cilena. “Voleva un coach americano. Massimino firmò per un’università, il mio agente mi chiese se ero interessato…”. Capelli lunghi, abiti da vecchia rockstar, ma idee chiarissime anche se mai allora si sarebbe aspettato di restare in Italia per tutta la vita… “Ho firmato per tre anni con la Virtus, mai avrei pensato di non andarmene più dall’Italia. A chi mi intervistava dicevo, vinco lo scudetto al terzo anno poi me ne vado. Ho vinto, ma sono rimasto. Quando sono arrivato dell’Italia conoscevo un po’ di storia e del basket avevo letto di Rubini, di Bradley che aveva giocato a Milano e della nazionale che era arrivata quarta ai Giochi di Monaco. Sapevo lo spagnolo e mi ha aiutato, ma già dopo pochi allenamenti dirigevo in italiano maccheronico. Si dice così no?  Poi ho comprato un libro: l’italiano in 140 lezioni. Ne studiavo cinque ogni sera e in 28 giorni…”.

 

Quando sale sul palco a una convention gli basta cominciare con “Amici sportivi…” e la platea lo sommerge di applausi che finiscono solo quando congeda tutti con il suo storico “mamma butta la pasta”, frase nata commentando le partite Nba per dire che ormai quell’incontro non aveva più nulla da raccontare. Per la cronaca va ricordato che con Virtus Bologna e Olimpia Milano ha vinto cinque scudetti, una Coppa Campioni, una Coppa Korac e tre Coppe Italia. Nel 2011 l’Olimpia targata Armani lo ha richiamato in panchina a 75 anni per provare a salvare la stagione. Il basket ha avuto più titoli in prima pagina in quella settimana che in tutta la stagione. “Ritirarmi a 51 anni è stato un errore. Infatti, sono tornato a 75 anni per correggerlo. Ero scarico, ero vuoto avevo bisogno di staccare per due mesi. Se mi avessero detto ok Dan, torna a luglio sarei rimasto. Comunque poi sono tornato no?”, dice oggi con l’ironia che lo accompagna da sempre. La stessa che sfrutta quando il discorso cade sul Milan e quella proposta indecente che gli arrivò da Berlusconi: “Lascia l’Olimpia e vieni ad allenare il Milan”. Adriano Galliani, che alle partite dell’Olimpia è in prima fila da decenni fu il grande sponsor di quell’idea insieme a Bruno Bogarelli. “Loro però avrebbero dovuto aspettarmi fino a giugno, invece volevano una risposta subito. Come dico sempre a Galliani, ‘Avete fatto una cazzata a ingaggiare Sacchi!!!’. Glielo dico sempre e poi ridiamo”. Il senatore Galliani, oggi impegnato a portare il Monza in Serie A conferma tutto: “Nel 1987 Berlusconi mi propose seriamente di offrire a Dan la panchina del Milan. Il motivo? L’allenatore deve essere un motivatore e stimolare il gruppo, lui era perfetto, infatti è un coach per eccellenza. Serissimamente glielo proponemmo, ma lui con la sua onestà non se la sentì, peccato. Sono sicuro che sarebbe stato un ottimo allenatore anche nel calcio, è simile e paragonabile ad Arrigo Sacchi. Fino a che ero al Milan, Peterson il lunedì mattina mi mandava le sue disamine tecnico-tattiche-psicologiche incredibili, lo faceva per amicizia e scriveva analisi fantastiche”. “Mi sarebbe piaciuto provarci – racconta il coach – mi sarei circondato di grandi esperti. Io sono un grande ascoltatore. Avrei delegato la preparazione specifica di attacco e difesa a degli specialisti, e io avrei pensato al lavoro e alla mentalità. Avevo delle idee semplici e chiare e poi avere alle spalle Berlusconi e Galliani sarebbe stata una garanzia. Sono convinto che avrei fatto bene. Sacchi è stato un genio, ha dato un coraggio incredibile alla squadra. Ma pensate a quel Milan: l’undicesimo era Evani ed era un grande giocatore. Per non parlare di Gullit e Van Basten. Gullit era come Lukaku oggi, fisicamente straripante – il belga dell’Inter è come un giocatore di football che nessuno riesce a placcare. Al Milan avrei allenato dei fenomeni, e infatti Galliani mi dice  sempre: avremmo vinto tutto anche con lei…”.

 

Il basket è la sua vita. Ma il calcio che ha cominciato a conoscere in Cile lo ha subito affascinato e oggi in tv guarda più partite di calcio che di baseball o football.  “La prima partita che ho visto è stata allo Estadio Nacional de Chile, uno stadio tristemente famoso. Il mio capitano mi portò a vedere il Colo Colo. Poi quando sono arrivato in Italia sono diventato tifoso del Bologna di Pesaola, Adesso dicono che sono milanista: è vero, ho fatto tanti corsi di team building per loro, ma sono contento anche se vince l’Inter. Mi piace rivedere le milanesi in testa, anche se l’altro giorno…”. Al calcio suggerisce i playoff: “Non vedo perché non farli, sapete che interesse attirerebbero. E poi in Champions non li fanno già? Certo è assurdo fare il sorteggio dopo ogni turno. dovrebbero fare un tabellone come in America o come noi del basket. I playoff premiano chi ha la vera forza, la squadra più forte, il campionato premia il rendimento”. Al basket suggerisce di non correre troppo: “Oggi si esagera con il tiro da tre punti, finisce tutto uno contro uno. Era meglio quando il limite era di 30” e non di 24”, c’era più tempo per gli schemi, più scelte possibili. Oggi da due punti non si tira quasi più”. Parola di coach.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Chiudiamo con i suoi euro oscar.  I top 5 giocatori allenati:  Meneghin, McAdoo, D’Antoni, Premier, Tom McMillen. I top 5 di sempre in Europa:  Sabonis, Petrovic, Morse, Galis, Dalipagic. Più Kicanovic. I top 5 allenatori:  Rubini, Nikolic, Gamba, Bianchini, Taurisano. Le top 5 squadre: Ignis Varese, Real Madrid, Maccabi Tel Aviv, CSKA Mosca, Scavolini Pesaro, Virtus Bologna. E l’Olimpia? Beh l’Olimpia è una squadra da Nba, almeno la sua. “Per allenare ci vuole il cuore, non bastano i soldi del contratto. Devi amare la tua squadra per vincere”. Numero uno.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ