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Il Foglio sportivo

L’Nba rimbalza verso il 2021

Alessandro Mamoli

Il basket americano torna sul parquet per sua la 75esima stagione. Ecco che cosa cambierà con l’uscita dalla bolla di Orlando

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“Per mettere alla prova la realtà dobbiamo vederla sulla fune del circo.

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“Per mettere alla prova la realtà dobbiamo vederla sulla fune del circo.

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Quando le verità diventano acrobate, allora le possiamo giudicare”.

Oscar Wilde

 

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Su quella fune la NBA ci è stata, le acrobazie son durate 3 mesi da metà luglio a metà ottobre con l’obiettivo di salvare una stagione che sembrava persa. Whole New Game.

  

Impossibile dimenticare il claim con cui si ripartì lo scorso luglio ad Orlando compiendo un’impresa unica nel mondo dello sport. Portare a termine una stagione sportiva in piena pandemia all’interno di una bolla creata per tenere il gioco lontano dal virus.

 

Le immagini di LeBron che solleva le due coppe, campione NBA e MVP, rappresentano una vittoria non solo dei Lakers ma di tutto il sistema NBA. Un successo irripetibile. Talmente irripetibile che la lega di basket più famosa al mondo, ha deciso di cambiare seguendo gli esempi delle altre grandi leghe americane.

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Dal prossimo 22 dicembre si torna dunque nelle arene, inizialmente senza pubblico. Pur essendo uno dei paesi più colpiti dalla pandemia, gli Stati Uniti avranno a disposizione un gran numero di vaccini e ritrovare alcuni tifosi sugli spalti entro la fine della stagione è tutt’altro che improbabile.

 

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La off-season più breve di sempre ha costretto squadre come Lakers e Heat a soli 71 giorni di riposo, che scendono addirittura a 50 se consideriamo la data di inizio degli allenamenti. Un tempo limitato che non ha impedito alle squadre di effettuare quei ritocchi necessari per restare o diventare competitive. Dopo numerosi scambi di mercato passando attraverso il Draft, la NBA è ora pronta a ripartire. Sarà la stagione numero 75 della National Basketball Association che festeggia i tre quarti di secolo giocando una regular season da 72 partite, compressa in poco più di 4 mesi, con playoff e relativa corsa al titolo previsti tra il 22 maggio e il 22 luglio, evitando così la sovrapposizione con i giochi olimpici di Tokyo. 

 

Una stagione 100 per cento made in USA visto che, a causa delle restrizioni ai viaggi imposte dal governo del Canada, i Toronto Raptors inizialmente giocheranno le partite casalinghe all’Amalie Arena di Tampa, in Florida.

 

Da un punto di vista organizzativo c’è curiosità nel capire come le squadre, senza più lo schermo protettivo della bolla, riusciranno a tenere il virus fuori dalle facility. Vi diamo una notizia, non sempre ce la faranno. Ce lo fa capire anche la NBA che recentemente ha condiviso le 134 pagine del protocollo sulla gestione dell’emergenza in cui è ben spiegato cosa fare nel caso si riscontrasse una positività all’interno della squadra. “L’apparizione di alcuni casi di contagio o di piccoli gruppi all’interno delle franchigie NON richiederà la sospensione o cancellazione della stagione 2020-21”. Come invece accadde lo scorso 11 marzo con il caso Gobert.

 

Una delle questioni più dibattute e finita sotto la lente d’ingrandimento è ovviamente la procedura che riguarda il reintegro sul parquet di un giocatore positivo al Covid-19. 

 

Per poter tornare ci sono due modalità. La prima prevede che un giocatore possa tornare dopo aver trascorso almeno 10 giorni senza sintomi.  La seconda richiede un doppio test negativo a distanza di almeno 24 ore l’uno dall’altro.

 

Convivenza forzata col virus dunque, in attesa che i lunghi camion della Pfizer raggiungano i luoghi di somministrazione del vaccino.

 

Per le domande che definiremmo tecniche e che riguardano il valore di singoli e squadre, o più semplicemente quello che ci aspettiamo di vedere dentro al campo, c’è l’imbarazzo della scelta e alcune risposte arriveranno a breve.

 

Che giocatore sarà Kevin Durant dopo il rientro in campo ad oltre 500 giorni dalla rottura del tendine d’Achille? Come sarà la sua convivenza con Kyrie Irving? Funzionerà il “seven-eleven”? Soprannome coniato dallo stesso Irving che fa il verso ad una famosa catena di supermercati e che rappresenta i numeri di maglia dei due giocatori.

 

Che tipo di leadership porterà Steve Nash sulla panchina di Brooklyn? E Chris Paul ai giovani e affamati Phoenix Suns freschi della loro “corsa perfetta” nella bolla di Orlando?  Gli Houston Rockets scambieranno James Harden ed entreranno nella fase di ricostruzione? Come se la caverà Gallinari nella nuova realtà di Atlanta? E Melli, al suo secondo anno a New Orleans, riuscirà definitivamente a confermare lo status di solido giocatore NBA? E ancora, i Los Angeles Lakers sono sempre la squadra da battere? A quest’ultima rispondiamo subito. Si, sono decisamente la squadra da battere, perché quando hai il miglior giocatore del pianeta (LeBron James) e al suo fianco uno dei primi 5 della pista (Anthony Davis) resti legittimamente la squadra favorita.

 

Poi, la domanda forse più importante, che ha già trovato una risposta lo scorso 12 dicembre. Giannis Antetokounmpo, scambi permettendo,  sarà un giocatore dei Milwaukee Bucks per altri 5 anni? È comprensibile che nel leggere le cifre (228 milioni di dollari, il contratto più ricco della storia della NBA) sia difficile parlare di scelta di cuore ma, che vi piaccia o no, quella di Antetokounmpo è una scelta romantica. Milwaukee attualmente non sembra essere nella condizione tecnica per poter vincere un titolo, almeno non con questo gruppo che necessità aggiustamenti.

 

Per Antetokounmpo sarebbe stato molto più facile aspettare la fine della stagione e scegliere una squadra in mezzo al mazzo capace di garantirgli un corredo tecnico più adeguato per avvicinarlo al tanto agognato titolo.

 

Giannis ha invece scelto di essere diverso. Facile, direte voi, esserlo con 228 milioni di dollari in banca, ma è così. Giannis è cresciuto in Grecia dove per diversi anni ha avuto un’unica priorità, sopravvivere. Figlio di immigrati fuggiti dalla Nigeria in cerca di una vita migliore, vendeva pacchetti di sigarette e occhiali contraffatti per le strade di Atene. Antetokounmpo oggi è la rappresentazione dell’”underdog”,  di chi ce l’ha fatta contro tutto e tutti. In America lo chiamano “long shot”, qualcosa di totalmente inaspettato. From zero-to-hero. Una storia che sembra un film anzi, lo diventerà grazie alla Disney che ha già aperto i casting per trovare l’attore che interpreterà il giovane Giannis. Se foste ansiosi e impazienti, il prossimo agosto intanto uscirà la sua biografia.

 

   

Il messaggio che Antetokounmpo ha voluto mandare ai Bucks, accettando il prolungamento del contratto, non è poi così criptato e più o meno dice : ho dovuto combattere gran parte della mia vita per arrivare al successo, sono disposto a fare lo stesso per portare Milwaukee al titolo senza dover scendere a compromessi. Dove per compromessi si intende una rinuncia (seppur insignificante a quelle cifre) a qualche decina di milione di dollari evitando di emulare chi si è trovato precedentemente in quella situazione. LeBron e Durant su tutti che, incapaci di vincere a Cleveland e a Oklahoma City, hanno deciso di trasferirsi altrove, riuscendo peraltro a raggiungere l’obiettivo conquistando il primo titolo della loro carriera. Nessuna scorciatoia per Giannino che grazie alla tranquillità garantita dall’estensione del contratto, oltre ad evitare le insidiose domande dei giornalisti nei prossimi 7 mesi, si ricandida a vincere il terzo MVP in altrettante stagioni, Doncic permettendo. La rivoluzione che non c’è stata a Milwaukee ha invece coinvolto buona parte delle panchine NBA. Quasi un terzo delle squadre hanno cambiato allenatore, quattro sono addirittura debuttanti, una scelta che definisce un sempre più chiaro cambio di tendenza e ci racconta  come la NBA sia ormai un’autentica “Players League”. Se non fosse chiaro a comandare sono i giocatori, detentori oggi di un potere economico quasi spropositato.

 

Se il tuo miglior giocatore oggi viaggia a 40-45 milioni di stipendio annuo, laddove l’allenatore prende nella migliore delle ipotesi un quarto di quella cifra , come puoi pensare che quello stesso allenatore abbia controllo su un giochino che deliberatamente ti sta dicendo che il joystick è in mano a quelli con pantaloncino e canotta? Non spalanchiamo gli occhi meravigliandoci dei casi Harden o prima ancora Anthony Davis, giocatori su cui le franchigie investono  centinaia di milioni di dollari in stipendi, marketing e immagine che un bel giorno si alzano e ti informano che, ti piaccia o no, gradirebbero giocare altrove. Non solo, se possibile vorrebbero anche decidere la destinazione, come ci ha chiaramente fatto capire James Harden nelle ultime settimane. Se sei spalleggiato da LeBron James, l’uomo che più di tutti oggi controlla la NBA sia fuori che dentro il campo, rischi anche di essere accontentato.

 

Su Harden aspettiamo, il tempo ci dirà, ma nonostante i mal di pancia e a causa del suo enorme contratto, non è impossibile vederlo concludere questa stagione con la maglia di Houston, che presumibilmente dovrà scendere a compromessi visto che tra le sue bizzarre richieste il Barba avrebbe aggiunto permessi speciali per poter andare a gavazzare a Las Vegas tra una partita e l’altra. Dinamiche alimentate da una legittima voglia di vincere, perché nessuno vuole terminare la carriera e vedere il suo nome  inserito in quella lista di fenomeni indimenticabili ma ahimè sprovvisti di anello NBA.

 

Delle 30 squadre che cominceranno a incrociare le armi il prossimo 22 dicembre solo una vincerà e anche sei favorito, a volte un semplice infortunio può far saltare il banco. Chiedere agli Warriors del 2019 o ai Cavs del 2015 per i dettagli.

 

Ma questo è il bello della NBA , se volete approcciarvi a questo favoloso mondo fatelo privi di aspettative, evitate i pronostici, sedetevi e godetevi il viaggio. Come diceva Oscar Wilde, “To expect the unexpected shows a thoroughly modern intellect". 

 

Esattamente il modo a cui guardare questa nuova stagione NBA 2020/21, ovviamente su Sky Sport. Buon divertimento.

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