il foglio sportivo – that win the best

Razzisti a loro insaputa e jolande desolate

Wanda Nara querela chi scherza sulle sue foto, Vardy fa esultanze omofobe senza saperlo

Jack O'Malley

Ci vediamo al pub con i tifosi del Millwall, Vardy, il quarto uomo romeno e la Littizzetto. Venite?

Forse dovrei ringraziare il Foglio per avere trasformato “That win the best” in pseudoeditoriale di un inserto molto ben curato. Fino a due anni e mezzo fa era una pagina settimanale parecchio volgare che oggi mi farebbe meritare la gogna social, lo stigma dei capiservizio leccaculo di altri giornali, lo sdegno delle scrittrici, il carcere e almeno una dozzina di richieste di risarcimento da donne che posano seminude su Instagram ma si sentono aggredite se qualcuno ci scherza su. Proprio commentando una foto di Wanda Nara desnuda e sdraiata di schiena su un cavallo, Luciana Littizzetto ha scherzato in tv sul cavalcare a pelo, sul cavallo che è il più vestito dei due e sulla signora Icardi che si regge con la “jolanda prensile” al pomello della sella. Ma poiché non si può più ridere neppure di chi si rende ridicolo, la comica si è beccata una querela.  

  

Il sessismo ormai è come Walter Veltroni, ovunque. Qui in Inghilterra il povero Vardy ha dovuto chiedere scusa pubblicamente a tutta la comunità lgbt per avere rotto, esultando dopo un gol, la bandierina occasionalmente arcobaleno del calcio d’angolo. Tutto è insulto, tutto è offesa, se di mezzo ci sono i tifosi, poi, l’occasione è troppo ghiotta:  ecco allora la crocifissione dei fan del Millwall, colpevoli forse di pensare troppo. Finalmente presenti allo stadio, all’ennesima inginocchiata dei propri giocatori in solidarietà con il movimento Black Lives Matter, hanno fischiato. Ma non contro i neri (scusate), bensì – hanno detto – contro le radici marxiste di quella protesta, arrivata a giustificare l’abbattimento delle statue di Churchill. Niente da fare: richieste di pene severe sono arrivate dalle tastiere di tutti gli editorialisti impegnati, qualcuno pretendeva il carcere, tutti il divieto di entrare allo stadio.

  

Così, mentre scopro che dalle Olimpiadi del 2024 non ci sarà più la 50 km di marcia, abolita perché non rispetta la parità di genere, non posso che provare tenerezza per il povero quarto uomo romeno che ha usato la parola “nero” per indicare all’arbitro la persona da ammonire. La sua leggerezza ci ha costretti a sorbire lezioni di antirazzismo da Erdogan, ma soprattutto ha riempito le nostre timeline di opinioni non richieste di giornalisti e liberi pensatori social sull’episodio: mentre ancora si cercava di capire cosa fosse successo, la sentenza era già stata emanata, e colleghi con responsabilità non da poco parlavano di “insulti razzisti del quarto uomo alla panchina del Basaksehir” (e poi tutti di corsa ai convegni sul giornalismo a lamentarsi delle fake news, mi raccomando), rilanciati da chi, terrorizzato di non trovare posto nel salotto di chi si dà di gomito dicendo sempre la cosa giusta, rincarava la dose parlando di “rivoluzione” e giocatori eroicamente disposti a interrompere lo show per dire no al razzismo, senza rendersi conto di essere di fronte a un’operazione politica in cui Champions League e antirazzismo erano soltanto strumenti. Il giorno in cui si potrà finalmente tornare a parlare di calcio senza scappellate pavloviane al mainstream offrirò da bere a tutti. Per ora mi limito ad aspettare al pub stretto alla mia pinta di bionda  i tifosi del Millwall, il quarto uomo romeno, Vardy e persino la Littizzetto. Solo se viene senza Fabio Fazio, però.